traduzione, adattamento e drammaturgia Carmelo Rifici e Tindaro Granata
regia Carmelo Rifici
con (in o.a.) Giusto Cucchiarini, Alfonso De Vreese, Giulia Heathfield Di Renzi, Ugo Fiore, Tindaro Granata, Christian La Rosa, Marta Malvestiti, Marco Mavaracchio, Francesca Osso, Alberto Pirazzini, Emilia Tiburzi, Carlotta Viscovo
scene Guido Buganza; costumi Margherita Baldoni; luci Alessandro Verazzi; musiche Zeno Gabaglio; assistente alla regia Giacomo Toccaceli; regista assistente Alice Sinigaglia; coaching movimenti acrobatici Antonio Bertusi; coaching clownerie Andreas Manz
Produzione LAC Lugano Arte e Cultura, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d'Europa, La Fabbrica dell'attore – Teatro Vascello: partner di produzione Gruppo Ospedaliero Moncucco – Clinica Moncucco e Clinica Santa Chiara
Rappresentata per la prima volta nel 1907, la piéce rivive ora nel felice adattamento di Tindaro Granata e Carmelo Rifici, sua anche la regia, spettacolo corale di pregevole fattura che alterna un genuino divertimento a sequenze di grande poesia ed umanità: e se per l'autore francese il sospetto del titolo è il timore di Raimonda di essere tradita dal marito Vittorio Emanuele, presentimento da cui si generano equivoci e paradossi con le stanze dell'Hotel Feydeau diventare teatro di situazioni surreali, nel suo disegno registico Carmelo Rifici coglie a pieno il bisogno di svecchiare un impianto che, se trasferito come scritto allo spettatore di oggi, risulterebbe datato ed anacronistico. Quel che ne esce sono quasi due ore e mezza di un felliniano circo con l'Hotel Feydeau luogo immaginario più che spazio fisico, arena della mente nei cui ambienti l'articolata trama si risolve in un collettivo gioco attraversato da sospetti e paure, travestimenti ed improvvisate azioni cui corrispondono non meno inaspettate reazioni.
Porte e stanze tante care al vaudeville lasciano spazio ai colorati e geometrici cubi di gommapiuma (scene di Guido Buganza e costumi di Margherita Baldoni) ora trespoli su cui salire, ora anfratti dentro cui nascondersi, sempre elementi con cui interagire rotolandosi, facendo acrobatiche evoluzioni o ritmate capriole al tempo di una musica che gli stessi interpreti producono in modalità live: la scena diventa così una grande giostra circolare, il cui movimento non è solo quello della piattaforma girevole di cui si compone il palco, ma anche e soprattutto quello di un agire umano "fissato" in impietose istantanee scandite da un susseguirsi di emozioni e passioni.
Tradotta, ma non tradita, in commedia fuori da spazio e tempo, La pulce nell'orecchio nella versione Granata/ Rifici è spettacolo impreziosito da pillole di poesia e dolcezza per l'occasione affidate al personaggio di Camillo, goffo factotum dal charlottiano aspetto che Tindaro Granata tratteggia con disarmante sensibilità: impossibilitato ad esprimersi per un difetto nel palato, dell'intera carovana di personaggi Camillo è tanto coscienza morale quanto ago della bilancia in un racconto che con il passare dei minuti rischia di passare dal comico al drammatico, di perdere la sua identità di gioco per trasformarsi in una tremenda cosa seria. Alla fine bambini nasciamo e bambini è bello restare, convinzione registica rafforzata dall'immagine di chiusura con il gruppo di applauditi interpreti sfilare come belle statuine sulla giostra della rappresentazione di un amore dove anche i più feroci propositi di vendetta assumono sfaccettature grottesche per poi squagliarsi come neve al sole.
Attenta rivisitazione di un impianto classico, La pulce nell'orecchio diretta da Carmelo Rifici non riscuoterebbe i numerosi applausi se l'intero gruppo di interpreti, da Christian La Rosa a Marta Malvestiti, da Tindaro Granata e Francesca Osso, passando per Giusto Cucchiarini, Alfonso De Vreese, Giulia Heathfield Di Renzi, Ugo Fiore, Marco Mavaracchio, Alberto Pirazzini, Emilia Tiburzi e Carlotta Viscovo, non risultassero perfetti ingranaggi di un meccanismo teatrale rasente la perfezione, caratteri ma mai macchiette in costante bilico tra una figurazione dai contorni ora concreti, per quanto grotteschi, ora onirici e fiabeschi.
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