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Con il tormento di una scelta si impara a convivere...TOO LATE
a cura di Roberto Canavesi
Visto al Teatro Astra di Torino mercoledì 26 marzo 2025
di Jon Fosse 

traduzione Thea Dellavalle 

un progetto di DELLAVALLE/PETRIS con Anna Bonaiuto, Irene Petris, Roberta Ricciardi, Emanuele Righi, Giuseppe Sartori 

regia Thea Dellavalle;  suono Franco Visioli; scene Francesco Esposito; costumi Marta Balduinotti 

Produzione Teatro Nazionale di Genova, TPE - Teatro Piemonte Europa in collaborazione con Lido51 in accordo con Arcadia & Ricono Ltd; per gentile concessione di Colombine Teaterförlag
Non eroina tradizionalmente intesa, semmai simbolo di un modello di pensiero, di un approccio alla vita che vada oltre il personaggio per affermarsi come carattere: Nora Helmer, la protagonista di Casa di bambola di Henrik Ibsen, nel corso degli anni ha visto trasformarsi la sua identità teatrale, diventando simbolo di quella emancipazione a lungo perseguita, e solo con gran fatica ottenuta.

Ci piace così immaginare che Jon Fosse, norvegese come Ibsen, da questa convinzione sia partito per il suo Too late, partitura teatrale ricavata da un originario libretto d'opera con Nora, ormai donna matura, al tempo stesso testimone e narratrice della vita passata che le scorre davanti agli occhi, pellicola attraversata da dialoghi e situazioni dove il suo ruolo è di moglie inquieta costretta a relazionarsi con quel Torvald da cui a fatica, ma con grande coraggio, riuscirà a liberarsi abbandonando marito e figli: nella versione adattata e diretta da Thea Dellavalle, la parabola di Nora, oggi inquieta pittrice almeno quanto in passato appassionata amante, rivive in una carrellata di immagini e suoni, significativa per l'insieme la componente sonora ideata da Franco Visioli, destinati a prender vita nella camaleontica scena di Francesco Esposito. Per sessanta minuti un anonimo open space con porte di qua e porte di là, un letto magico che partorisce e fagocita, cavalletti e tele da dipingere, da ultimo spazio spalancato al mondo esterno una volta dato forma al progetto di fuga.

Spettri consapevolmente ricreati ed altri che compaiono all'improvviso, di queste presenze si popola l'universo della nuova Nora capace di relegare l'omologa ibseniana ad una voce proveniente dalla radio, per concentrare l'indagine di Fosse, uomo del Duemila, in un inimmaginabile futuro per Ibsen, figlio dell'Ottocento, nel disperato tentativo di completare quel personaggio che neanche il suo padre letterario era riuscito a concludere: ma forse, e questo ci sembra essere il messaggio di Fosse come dell'allestimento di Dellavalle, è veramente "too late", troppo tardi, con la solitudine del primigenio personaggio riaffacciarsi, riveduta e corretta, nelle fattezze della Nora fossiana.

Quella che a giochi fatti ci suona tanto come dichiarazione di impotenza, in scena diventa racconto di una personale lotta contro il patriarcato con personaggi che si sdoppiano per riflettersi gli uni negli altri in un gioco di rifrazioni pronto ad evidenziare, da un lato, disperazione e caparbietà dell'universo femminile, dall'altro egotismi e narcisismi della figura maschile: e se Anna Bonaiuto tratteggia con estrema misura la Nora ragionatrice dedita oggi a suoi quadri per sopperire, forse, a rimpianti e rimorsi di un lontano passato, con Giuseppe Sartori e Irene Petris riassaporiamo gli originali ibseniani, amanti infelici in perenne combutta tra scalate sociali e pulsioni di fuga. Ritratto, di suo già impietoso, per Torvald appesantito dalla zavorra del proprio inconscio-ombra che Emanuele Righi caratterizza in modalità grottesca aggiungendo la giusta misura di spiazzante non sense: per loro, e forse in generale per gli uomini secondo un consolidato malcostume ideologico, il destino finale sembra quello di trovar riparo tra le grazie di una iconica Madonna che Roberta Ricciardi ritrae come simbolica creatura fuori dal tempo.

Too late di Jon Fosse sono alla fine settantacinque minuti con pregevole cura diretti e recitati, per alcuni forse ricchi di rimpianti, per altri di ricordi: a noi piace leggere il tutto come una pagina attraversata da ostinate speranze che quel troppo tardi, riprodotto nell'insegna luminosa ad accogliere e congedare il pubblico, non sia la disarmante ammissione di una sconfitta, semmai il monito a ricordarci che certe partite non finiscono mai, salvo arrendersi al peso di memorie e ricordi misti a nostalgia.
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