con (in ordine alfabetico) Elsa Bossi, Ambra Chiarello, Federico Gatti, Beatrice Schiros, Massimiliano Setti, Federico Vanni, Aleph Viola
drammaturgia Gabriele Di Luca; costumi; Stefania Cempini; scenografia e luci Lucio Diana; musiche originali Massimiliano Setti; regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti ed Alessandro Tedeschi
Marche Teatro / Teatro dell’Elfo / Teatro Nazionale di Genova / Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini. In collaborazione con il Centro di Residenza dell’Emilia Romagna “L’arboreto – Teatro Dimora / La Corte Ospitale”
Due ore e mezzo tutte d’un fiato in cui si ride, tanto, si riflette, non poco, e si empatizza, molto, con una comunità di personaggi al solito boarder line: la scrittura di Gabriele Di Luca è irriverente e sfacciata, forse addirittura eccessiva in un inizio che sfiora il turpiloquio, risultando funzionale nella definizione di caratteri e situazioni destinate ed imporsi con il trascorrere dei minuti: in un contesto claustrofobico molto underground, scantinato al tempo stesso cucina per un’attività di delivery ed abitazione invasa da miasmi e liquami delle fogne, si muovono sette diversissimi personaggi, tre donne e quattro uomini ciascuno depositario di un ingombrante passato per nulla preludio ad un rassicurante futuro. Dalla cinica Clara, ex lavapiatti ora combattiva imprenditrice, a modo suo affettuosa madre, tutta dedita ai social, al disilluso compagno Plinio, una volta chef stellato ed ora costretto a cucinare brodaglie e pietanze da mettere nei cartoni per l’asporto. Ed ancora Igor, il figlio di Clara razzista ed omofobo capace solo di fronte ad un videogame di trovar pace ai bollenti spiriti, o la lavapiatti etiope Hope, donna senza scrupoli che porta in grembo il frutto di un amore tragicamente interrotto nella traversata sui barconi: a chiudere la carrellata ci pensano Mosquito, un carcerato con il pallino della recitazione, l’aspirante suicida Cesare che in quel mare magnum di desolazione sembra trovare la sua quiete e Patty, madre di Plinio, sessantottina dai capelli brizzolati decisa ad impugnare mazze e molotov per proseguire nella sua eterna lotta contro il sistema.
Al cospetto di un pretesto drammaturgico molto prossimo al periodo vissuto, con la popolazione chiusa in casa per le continue emorragie di un sistema fognario metafora della perdita di controllo dell’uomo sulla natura, impressiona nel testo la forte matrice politica da intendere nella sua accezione etimologica greca legata all'azione, all'agire: se è vero che di fronte ci troviamo personaggi soli e disillusi, è altrettanto innegabile come siano uomini e donne "malati" di azione, in perenne movimento, alla continua ricerca di sfide da vincere, di sogni da realizzare, di traguardi da raggiungere. Una famiglia allargata alimentata da pulsioni contrastanti, dove passioni e sentimenti si vivono in modalità totalizzante per un ritratto collettivo all’insegna di quella grande umanità cui tutti, percorrendo strade diverse, alla fine ritornano uscendo di scena pur sempre come genitori maturi ma inconsapevoli, figli irrequieti alle prese con piccoli e grandi drammi della vita: quadretto poco idilliaco ed edificante che, come già successo in Animali da bar, Carrozzeria Orfeo raddrizza in zona Cesarini con la simbolica nascita di una nuova vita, certo non attesa da un futuro roseo, che tra una citazione e l’altra da Albert Camus irrompe in scena portando una ventata di speranza in apparenza destinata ad abbracciare tutti i personaggi.
Successo finale scontato con il pubblico deciso a ripagare con meritati applausi le intense prove di Elsa Bossi, Ambra Chiarello, Federico Gatti, Beatrice Schiros, Massimiliano Setti, Federico Vanni ed Aleph Viola, miracolosi interpreti di una favola noir costruita attorno a temi dalla disarmante attualità per il nostro malato presente.
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