immagine home.jpg
Il sogno in grande di un uomo in piccolo nel commesso viaggiatore di Arthur Miller
a cura di Roberto Canavesi
Visto alle Fonderie Limone di Moncalieri sabato 29 maggio 2021
di Arthur Miller; traduzione di Masolino d’Amico 

regia Jurij Ferrini 

con Matteo Alì, Lorenzo Bartoli, Vittorio Camarota, Fabrizio Careddu, Jurij Ferrini, Paolo Li Volsi, Maria Lombardo, Orietta Notari, Federico Palumeri, Benedetta Parisi

scene e luci Jacopo Valsania; costumi Alessio Rosati; suono Gian Andrea Francescutti; assistente regia Flaminia Caroli 

Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale
Rabbia, dolore, ma anche una cascata di amore e dolcezza, sferzano i dialoghi e i personaggi di Morte di un commesso viaggiatore, testo simbolo di un’America fissata in istantanee in grado, a teatro come al cinema, di stregare generazioni di attori e registi: racconto dalla disarmante attualità, la saga del venditore Willy Loman è oggi al centro della rilettura che Jurij Ferrini dirige ed interpreta nella nuova produzione dello Stabile torinese, crescendo di scontri famigliari alla ricerca di equilibri mai vissuti, e forse neanche troppo ricercati.

L’elementare scenografia di Jacopo Valsania, pannelli movibili a delimitare l’interno di casa Loman come gli altri ambienti del racconto, è funzionale ad una narrazione che da subito fa sentire allo spettatore molto vicina questa famiglia alle prese con le rate del frigorifero e del mutuo, della polizza vita e di una macchina che per Willy, venditore di lungo corso dalle alterne fortune, è in realtà un’appendice del corpo: tutto ruota intorno alla famiglia, cellula fondante di quella società impegnata nell’affannosa rincorsa all’American Dream che Arthur Miller disseziona come su di un tavolo autoptico, facendone emergere le contraddizioni in un impietoso ciclo esistenziale dove il singolo individuo è causa scatenante e prima vittima del corto circuito destinato ad annientarlo.

Un uomo piccolo che vive il fallimento di un grande sogno, questo il dramma di Willy Loman, sessantenne commesso cui l’azienda toglie la base fissa per costringerlo a vivere di provvigioni, spalancandogli il baratro di un futuro senza prospettive: assenza di certezze per il domani che, come in un beffardo gioco di specchi, si riflette negli altrui destini. In quello dei due figli, Happy e Biff, un dongiovanni da quattro soldi che culla sogni di ricchezza con l'utopica idea dei Loman’s brothers ed un giramondo con la mania dei furti, manifesto vivente di quell’indeterminatezza che tanto stride nella giungla del boom post bellico. Ed ancora il fantasma dello Zio Ben, il fratello di Willy che a diciassette anni in quella giungla ci è entrato per uscirci a ventuno ricco sfondato, deciso a palesarsi nella proiezione di una coscienza pronta a tormentare il capofamiglia. In un quadro di soli uomini, immaginato su di un machismo tanto finto quanto conflittuale, il ruolo di coscienza morale è affidato a Linda, moglie e madre ma soprattutto unico collante di precari equilibri che difende con ostinazione, forse rassegnata più che preoccupata, ma sempre decisa nel tener testa alla depressione del marito come alle boutade di quei figli cresciuti con tanti sacrifici, e su cui adesso non può far alcun affidamento. 

Se il teatro di Arthur Miller non va interpretato, semmai raccontato allo spettatore con il tutto il suo fardello, l’impianto immaginato da Ferrini va con assoluto rigore nella direzione della narrazione senza orpelli, del lasciar andare il flusso delle parole con i personaggi pronti a raccontarsi l’un l’altro, a svelarsi in tutte le loro contraddizioni palesando drammi ed insicurezze: il suo è un Willy Loman camaleontico che esce alla distanza, dapprima ostinato e logorroico seguace del sogno americano, in seguito traballante ingranaggio, dalla dolente umanità, di un meccanismo sociale che lo relega ai margini, solo più capace di macerarsi nel ricordo del tempo che fu, mentre rinfaccia all’amato Biff gli insuccessi di una vita intera. Insieme a lui Matteo Alì e Paolo Li Volsi ben sostengono il ruolo dei figli "di insuccesso", un misto di rassegnazione e di rabbia sempre vissuto con la consapevolezza dell’imminente fallimento, mentre Orietta Notari è deliziosa nel ruolo di Linda: in mezzo a tante voci di pancia, è lei a resistere fino alla fine, a non alzare mai bandiera bianca difendendo quella famiglia di cui incarna, da sola, lo spirito più genuino.

Morte di un commesso viaggiatore è ancora oggi manifesto di un clima politico e sociale non cosi distante dal nostro presente, impietosa rappresentazione di una società dei consumi prossima ad un collasso che si abbatte come un scure sulla sua cellula base, la famiglia: due ore e mezza abbondanti che il pubblico mostra di gradire, ripagando con convinti e meritati applausi l’intero cast completato da Federico Palumeri, Lorenzo Bartoli, Vittorio Camarota, Fabrizio Careddu, Benedetta Parisi e Maria Lombardo.
  • Morte di un Commesso Viaggiatore phAndreaMacchia.jpg
    Morte di un Commesso Viaggiatore phAndreaMacchia.jpg
    archivio