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LA TEMPESTA? Per Alessandro Serra racconto teatrale dalle magiche visioni
a cura di Roberto Canavesi
Visto alle Fonderie Limone di Moncalieri venerdì 18 marzo 2022
di William Shakespeare

traduzione e adattamento Alessandro Serra

con (in ordine alfabetico) Fabio Barone, Andrea Castellano, Vincenzo Del Prete, Massimiliano Donato, Paolo Madonna, Jared McNeill, Chiara Michelini, Maria Irene Minelli, Valerio Pietrovita, Massimiliano Poli, Marco Sgrosso, Bruno Stori 

Regia, scene, luci, suoni, costumi Alessandro Serra; collaborazione alle luci Stefano Bardelli; collaborazione ai suoni Alessandro Saviozzi; collaborazione ai costumi Francesca Novati;  maschere Tiziano Fario 

Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Teatro di Roma – Teatro Nazionale / Emilia Romagna Teatro Fondazione / Sardegna Teatro in collaborazione con Fondazione I Teatri Reggio Emilia / Compagnia Teatropersona
Se il teatro tra le sue finalità ha quello di scuotere le coscienze dello spettatore, financo alterarne già fragili equilibri, allora per La tempesta tradotta, adattata e diretta da Alessandro Serra si può parlare di obiettivo centrato: uscendo dalla sala dopo cento minuti salutati da convinti e meritati applausi, si ha la convinzione di aver assistito ad un allestimento che per farsi celebrazione del teatro e dell’arte attoriale sceglie di allontanarsi, in maniera consapevole ed evidente, dal teatro stesso, diventando racconto più che azione, pura narrazione condita da non pochi splendidi affreschi, questi sì di teatro vero, in cui come in un gioco di specchi risalta ancor di più la potenza dell’atto interpretativo.

Certo, si potrebbe pensare, la specifica materia di cui si compone l’opera scespiriana ben si presta ad un’operazione di questo tipo: l’ex duca di Milano Prospero, con la figlia Miranda al confino su di un’isola deserta per le trame ordite dal fratello, si trova ora nella condizione di consumare la personale vendetta in nome di un potere solo alla fine esercitato nella corretta accezione. La sua, infatti, è stata tutt’altro che una vita modello, esistenza trascorsa con l’esercizio di quell’arte magica, ricevuta a parziale risarcimento della sconfitta politica, per imprigionare spiriti e sconvolgere equilibri naturali, cui adesso è offerta la possibilità di un riscatto finale in un’ideale chiusura dei conti con il tormentato passato: il potere del perdono sembra così esser la chiave di lettura intorno cui tutto ruota intrecciando diversi filoni tematici i cui legami con il presente sono qualcosa di più di semplice suggestione. E se la trama di quello che è considerato il testamento teatrale del suo autore è arcinota, risulta non meno interessante la modalità della sua trasposizione, rilettura che Alessandro Serra ambienta su di un’isola palcoscenico, tavola lignea lontano parente del palco dei comici dell’arte, ma anche semplice "scatola" da riempire con visioni ed immagini, gesti ed azioni, in un continuo alternarsi tra la predominante dimensione narrativa e la non meno importante azione dell’atto teatrale.

Come da consolidata, e piacevole, tradizione per gli spettacoli del regista romano, anche La tempesta si nutre di un semplice ed elementare apparato scenico: riferito dello spazio neutro, a definire ambienti e situazioni sono un mucchietto di costumi colorati e rattoppati o l’utilizzo di maschere, il nebbioso fumo che invade scena e platea o enormi tende a scandire l’alternanza giorno/notte. Parole, immagini e suoni abitano lo spazio in un racconto che Serra impreziosisce con piccoli-grandi omaggi all’arte teatrale: è questo il caso di Calibano-Stefano-Trinculo, trio di istrionici saltimbanchi che richiamano alla memoria un teatro antico e povero, sempre in grado di elevarsi ad arte assoluta, al pari di Ariel, lo spirito etereo dalle cui danzate movenze e gestualità lo stesso Prospero trarrà diretta ispirazione per vivere alla fine la sua catartica redenzione. Nella metafora dell’isola mondo su cui si approda dopo la nefasta tempesta, spazio in cui dapprima si esercita l'abusivo esercizio del potere, salvo poi redimersi per sposare la causa del perdono, c’è la grande eredità del messaggio scespiriano quanto la convinzione di come, ancor oggi, ogni forma di nefandezza e violenza possa e debba presupporre quel successivo riconoscimento di sé stessi che, seppur attuato in modalità tardiva, risulta essere l’unico indispensabile strumento per una collettiva riconciliazione.

L’esito finale di tutto questo è un "racconto teatrale" di crescente suggestione, prova collettiva di un cast prossimo alla perfezione nel recitare con il pilota automatico e che, mai come in questo caso, merita citazione non tanto per la prova del singolo interprete, quanto per il comune sforzo risolto in un pregevole esito artistico.
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