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A spasso con il Torino Fringe Festival, edizione 2024
a cura di Roberto Canavesi
Cronaca di alcune tappe della rassegna torinese giunta alla dodicesima edizione
Puntuale come ogni anno si è consumato il rito del Torino Fringe Festival, due settimane di spettacoli in numerosi spazi cittadini con interpreti della scena nazionale scaldare i cuori degli spettatori in questa umida primavera torinese: giunto alla sua dodicesima edizione, la rassegna promossa dall’omonima Associazione diretta da Cecilia Bozzolini, Michele Guaraldo, Pierpaolo Congiu e Lia Tomatis ha proposto un ricco calendario di titoli con pregevoli eccellenze alternarsi ad operazioni più anonime.

Il nostro tour itinerante è iniziato con Ridicola, produzione AMA Factory per un monologo di dolente umanità che Annamaria Troisi, intensa maschera con chioma ed occhi corvini, leggins strappati e pantofole rosa, fa vivere in scena per sessanta minuti di un racconto attraversato da suggestioni poetiche e letterarie, e recitato in quella lingua napoletana capace di condire ogni parola di graffiante ironia: anima complessa in uno sfondo scenico dominato dal nero, la Troisi veste i panni di una prostituta il cui destino è in perenne bilico tra vita e morte, creatura di crisi che apprendiamo essere incinta, con il terrore di diventare madre, pronta a riversare su interlocutori invisibili il personale dramma di donna assalita da un’inappagabile fame di vita. Il suo è un racconto che spazia tra sogno e realtà, dove la dimensione onirica strizza l’occhio a modelli lontani (il sogno di un uomo, guarda a caso ridicolo, di dostoevskiana memoria) mentre sguardo fisso ed occhi che parlano comunicano gli effetti di un atavico patimento, di una sofferenza esistenziale iniziata in adolescenza e sempre presente nell’intera vita: il cliente come le suore, il mondo di fuori che giudica o le non più giovani signore borghesi, ma anche l’odiata/amata Bimba e l’elemento trascendente, questo è il mondo con cui entra in contatto la protagonista in un alternarsi di toni ora crudi e sofferenti, ora d’improvviso più poetici, che la vedono in piedi davanti al pubblico o sdraiata su di un tavolo con un microfono ad asta.
Narrazione paradigmatica di un disagio scavato sottotraccia nelle pieghe di un’anima che il mondo di fuori ignora senza motivo, Ridicola è affannosa quanto umanissima ricerca di risposte a domande fuori dal tempo, interrogativi cui non ci si può sottrarre nel corso di uno spettacolo dal finale nebuloso attento a far sì che sogno e realtà siano sempre rette parallele e mai tangenti.

Di diversa matrice, e dagli esiti meno felici, L’Ulisse di Joyce riletto dal trio Alessandro Ciacci, Giuseppe Armillotta ed Alessio Zanovello, (troppo) lungo panegirico ispirato al celebre romanzo che si risolve in una performance a tre voci a tratti stucchevole e dai toni eccessivi: partendo dalle classiche premesse del genere stand up, dialogo diretto con un pubblico chiamato ad interagire se non addirittura a partecipare, spazio ad uno spettacolo che dai capitoli dello scrittore irlandese spesso si allontana per farsi strumento di una comicità dai registri grossolani, e dove la capacità comica del riminese Ciacci si trova a fare i conti con scelte di scrittura forzate, se non a tratti del tutto discutibili.

Con una stretta di mano, prima rifiutata e poi con affetto ricambiata, si apre e chiude La tecnica della mummia, interessante adattamento da John Mortimer di Marcello Spinetta e Christian di Filippo per la produzione Amaranta Indoors ed A.M.A. Factory vincitrice del Premio nazionale Scintille 2023: storia d’amicizia dai vaghi contorni pinteriani, il dialogo tra l’imputato Fowle accusato di femminicidio e l’avvocato Morgenhall, poco apprezzato legale d’ufficio dal latino eloquio, è pretesto per un viaggio nell’emotività e nelle debolezze umane con Morgenhall crollare per il panico durante l’udienza, decretando per il suo assistito la condanna all’ergastolo. E quando tutto sembra irrimediabilmente compromesso, ecco capovolgersi la situazione con la condanna risolversi in assoluzione nell’intreccio tra vita reale e vita immaginata.
Seduti ad un tavolo l’uno di fronte all’altro, due uomini dagli opposti destini sono le pedine di una storia di riscatto resa possibile con quella componente fantastica ed immaginifica che li vede vivere un processo di regressione più che di progressione, esseri umani decisi a implodere invece che esplodere in un gioco di ruolo dove le identità ora si mescolano, ora si perdono: gli ottimi Spinetta e di Filippo sono la vittima che diventa carnefice, e viceversa, per una corsa contro il tempo che precede il verdetto della corte da consumarsi in dialoghi, grotteschi e surreali, tra un avvocato alla sua prima vera causa e un reo confesso per nulla collaborativo e poco disposto a farsi aiutare.

Per Il codice del volo della Compagnia del Sole, storico allestimento del collettivo barese scritto, diretto ed interpretato da Flavio Albanese, allo spettatore è richiesto di salire a bordo della macchina del tempo per immergersi a pieni polmoni ai tempi di Leonardo da Vinci attraverso parole, racconti ed aneddoti del suo allievo sodale, Tommaso Masini. Indiscusso genio italico, di Leonardo si scoprono passioni ed interessi inedite, spie di una personalità difficilmente definibile di continuo pungolata da quella curiosità vero e proprio motore trainante l’intera esistenza: ingegnere, uomo d’arte, ma anche proto imprenditore nel settore della ristorazione e soprattutto scienziato a tutto tondo, Leonardo si afferma nel Rinascimento come inventore e sperimentatore di una delle più coraggiose e, per il tempo, impensabili invenzioni del suo tempo, la macchina del volo. Ed è proprio il senso della sfida all’ignoto, il desiderio di misurarsi con i limiti a caratterizzare l’applaudita narrazione dell’interprete, testimone di un’insanabile tensione verso ciò che non si conosce che ancor oggi, sembra dirci tra le righe il testo, sarebbe da considerarsi la principale eredità dalla lezione leonardesca.

E’ infine ammantato di atmosfere grandguignolesche il Rotten Hamlet. Una storia a brandelli che Teatro delle Temperie e Teatro Strappato realizzano in una coproduzione italo francese: uomo maturo ed inquieto, l’Amleto narratore di Andrea Lupo ripercorre con il pubblico la saga scespiriana in uno spettacolo a sequenze di stampo cinematografico con Cecilia Scrittore e Vene Vieltez farne rivivere con tanto di maschere deformi i principali passaggi: Claudio e Gertrude, Polonio ed Ofelia, il pubblico in sala inconsapevole attore nella recita delle "the mouse trap", entrando e uscendo da una dimensione narrativa e figurativa prende forma uno spettacolo dall’impatto visivo tanto forte quanto spiazzante nel finale, con Amleto disilluso rivolgersi al pubblico per invitarlo all’azione.
"E facciamola questa rivoluzione…", sembra dirci il Principe prima di interrompere per l’ultima volta il collegamento con quella realtà letterario-virtuale di cui si è servito per settanta minuti, spazio tempo in cui riflettere sulla marcescenza del suo e nostro mondo, proprio come, ad eccezione di Ofelia, sono sporchi e luridi gli abiti indossati dai personaggi mascherati: si ride e si riflette, uscendo dalla sala con un retrogusto tanto amaro quanto intriso della consapevolezza che l’incubo vissuto da Amleto sia paradigma di una condizione esistenziale marchiata da apatia ed inazione, unici disarmanti approdi di tanti proclami e manifesti.
I brandelli del progetto Temperie/Strappato sono proiezioni consunte di un’immaginazione consumata da secoli ed impegnata nella ricerca di soluzioni ad un percorso che da dramma personale diventa universale, la ricerca della verità attraverso la forza dell’azione: viaggio risolto in un affresco colorato e grottesco con i tre ottimi interpreti dar vita a scene surreali come a monologhi di intensa passione.
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