con (in ordine alfabetico) Davide Antenucci, Andrea Caiazzo, Chiara Dello Iacovo, Pietro Maccabei, Lucia Raffaella Mariani, Eva Meskhi, Erica Nava, Enrica Rebaudo, Edoardo Roti, Letizia Russo, Daniel Santantonio, Lorenzo Tombesi, Gabriele Valchera, Giacomo Zandonà
regia Gabriele Vacis; scenofonia e ambienti Roberto Tarasco; pedagogia dell’azione e della relazione Barbara Bonriposi; dramaturg Glen Blackhall; suono Riccardo Di Gianni
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale in collaborazione con Associazione culturale PEM
Il dubbio sorge lecito di fronte all’Antigone e i suoi fratelli che Gabriele Vacis realizza con i giovani interpreti dell’Associazione Culturale PEM, quattordici attori ed attrici, diplomati alla Scuola per Attori dello Stabile torinese, pronti a sposare la causa di un viaggio nel presente che affonda le radici nel mito o, se si preferisce, di un percorso nel mito con finestre sulla contemporaneità: fuor di metafora, se è ovvio che i fratelli di Antigone tre sono e tali rimangono, è altrettanto innegabile come la lettura di Vacis e dei suoi ragazzi possa prevedere per la giovane donna, con gli occhi dell’oggi, una sorellanza di decine, centinaia, forse migliaia di individui, se a lei accomuniamo l’esempio quotidiano di una generazione di "ribelli" pronta a sfidare il sistema per l’affermazione delle ragioni del cuore, più che di quelle del potere.
Lungi dal portare in scena l’originale sofocleo, per quanto il disegno complessivo sia come da tradizione molto didascalico, Gabriele Vacis immagina un racconto che partendo dalla ricostruzione della tormentata saga famigliare diventa non tanto ennesima versione della celebre tragedia, quanto narrazione di un amore e di un coraggio, di un disagio e di un rifiuto, che abitano i ragzzi di oggi come le Antigoni del passato: nella ribellione allo zio Creonte, nel voler a tutti i costi coprire con un velo di terra il cadavere di Polinice, ma anche nella ricostruzione del rapporto padre/figlio tra Creonte ed Emone, trovano spazio e legittimità le tante domande che i millennials ci e si rivolgono in materia di giustizia e difesa del prossimo, di senso della vita e tutela degli ultimi.
Partendo da Le fenicie di Euripide, ideale antefatto all’Antigone di Sofocle, spazio a cento minuti filati in una scena spoglia dove vivono storie fuori dal tempo con le parole dei tragici greci mescolarsi ai racconti di oggi, ai monologhi di quei ragazzi del 1999 chiamati per nome ad "uscire" dal personaggio per "entrare" nel loro essere uomini e donne alle prese con quotidiane sfide, ataviche paure, millenarie contraddizioni: e se da un punto di vista scenico trionfa il già visto (la passeggiata-schiera ad accogliere il pubblico in sala, l’uso di enormi velari o la terra che cade dall’alto) il lascito principale dell’operazione, oltre all’applaudita prova corale dell’intero gruppo, è la condivisione di pensieri e riflessioni, di sfoghi e sogni, patrimonio di giovani contemporanei capaci ad ispirarsi a parole vecchie di due millenni.
Ma Antigone e i suoi fratelli è anche, o almeno così lo intendiamo, un atto politico a difesa dell’artista: che sia cantore di gesta epiche come narratore della più disarmante quotidianità, da sempre chi da un palco si spoglia delle proprie paure e si mette in gioco davanti ad una platea assolve ad un ruolo indispensabile per la fruizione del sapere da perseguire per la salvaguardia della specie umana. Nelle parole e nei gesti di Letizia e di Erica, di Enrica e di Chiara, ma anche in quelle di Pietro e di Lorenzo, di Edoardo, di Davide e di tutti gli altri interpreti risuona forte l’amore per un mestiere da vivere ogni giorno di cui l'operazione di Gabriele Vacis si fa indiscutibile metafora.
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