adattamento Ármin Szabó-Székely; traduzione Tamara Török; regia Kriszta Székely
con Paolo Pierobon, Matteo Alì, Stefano Guerrieri, Manuela Kustermann, Lisa Lendaro, Nicola Lorusso, Alberto Boubakar Malanchino, Elisabetta Mazzullo, Nicola Pannelli, Marta Pizzigallo, Francesco Bolo Rossini, Jacopo Venturiero
scene Botond Devich; costumi Dóra Pattantyus; luci Pasquale Mari, suono Claudio Tortorici; video Vince Varga
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Emilia Romagna Teatro ERT - Teatro Nazionale / Teatro Stabile di Bolzano
Il capolavoro del Bardo rivive nell’allestimento che la regista ungherese Kriszta Székely firma per lo Stabile torinese, con cui da anni collabora, nell’interessante adattamento di Armin Szabo-Székely che traspone la saga del sovrano dai fasti della corte inglese ad un isolato chalet montano con tanto di vista mozzafiato su vette innevate: rilettura moderna che non si limita all’ambientazione spaziale, ma che interessa tanti gli outfit dei personaggi, i costumi sono di Dora Pattantyus, quanto una lingua sottoposta dalla traduzione di Tamara Török al necessario lifting per ringiovanire dalle tossine del tempo. Di suo, la regista, mette insieme parole, ambienti e costumi costruendo uno spettacolo di pregevole fattura con l’ottimo cast guidato dal Riccardo di un Paolo Pierobon in totale stato di grazia.
Di attualità si parla per la location, e di attualità si deve parlare per un allestimento che indaga senza filtri la sete di potere di uomini disposti a tutto, pur di realizzare i propri malvagi disegni: e quando si dice tutto, non si esclude l’eliminazione di fratelli o di stretti collaboratori, per spingersi fino all’omicidio dei due nipoti bambini commissionato ad uno spietato sicario. È un crescendo rossiniano di follia e morte a scandire la quotidianità di Riccardo, uomo accecato dalla seduzione del potere vissuto come unica ragione di vita da attuarsi attraverso l’inganno e l’evidente fascino esercitato nei confronti di chi gli orbita accanto: ed è proprio su questa comunità di persone che la Székely insiste per porre in risalto come il cerchio magico di uomini e donne pronto ad assecondarne la follia sia lo stesso che, presa coscienza della deriva verso cui un’intera nazione si sta dirigendo, ne rinnega alla fine appoggio e fedeltà conducendolo all’inevitabile epilogo.
Tutto questo in scena è tradotto da un gruppo di eccellenti interpreti, a partire dal debordante Riccardo di Paolo Pierobon, lontano parente nella zoppìa appena accennata dell’ingobbito originale scespiriano, ma a lui assai prossimo in termini di sanguinaria malvagità: con modi e gesti a tratti strafottenti, Pierobon tratteggia alla perfezione un viaggio di sola andata verso gli inferi, il naturale approdo di un uomo per nulla in grado, oggi come in passato, di riconoscere i limiti invalicabili nella ricerca del potere. Una parabola circolare, la sua, che lo vede alla fine egli stesso vittima di quella che gli antiche greci chiamavano hybris, la tracotanza, sinonimo di prepotenza pronta a palesarsi in tutta la sua forza nel momento in cui si ottiene ciò che si è fortemente voluto.
Insieme a lui condivide il successo la Elisabetta di Elisabetta Mazzullo, donna capace con estrema lucidità di non soccombere, seppur privata dal cognato di tutto quello che ha più caro al mondo, il marito Re Edoardo e i due figli piccoli: ed ancora Francesco Bolo Rossini, all’inizio Re Edoardo IV poi grottesco Presidente della Corte Suprema dal prominente girovita, e la saggia Regina Cecilia di una sempre carismatica Manuela Kustermann, per arrivare allo Stanley di Nicola Pannelli, timida coscienza morale che per viltà o interesse si limita a commentare senza intervenire. Da ultimo la batteria dei giovani dove spiccano Matteo Alì, Alberto Boubakar Malanchino e Jacopo Venturiero, felici comprimari in un collettivo ripagato alla fine da ripetuti e meritati applausi.
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