Da dove nasce l’idea dello spettacolo?
``Da quando ho iniziato a fare teatro ho sempre indagato con attenzione situazioni e tematiche sociali delicate come la violenza sulle donne e sui bambini, la malattia mentale, il rapporto scena e disagio: nella mia personale visione per affrontare specifici ambiti il teatro è strumento molto più efficace della lettura in quanto capace di determinare con forza particolari impatti emotivi nella sensibilità delle persone. Premesso che nel 1968 ero un’adolescente, e dieci anni dopo una giovane donna, una volta letto il romanzo di Perissinotto ho subito trovato in quelle pagine la materia ideale per una riflessione su anni che per la mia generazione sono stati sinonimo di paura e speranza”.
Le pagine dello scrittore torinese vanno a comporre un romanzo giallo, vicenda complessa ambientata in una Torino dai mille volti: quale l’immagine della città che si potrà cogliere dal tuo spettacolo?
``Il ritratto di una Torino a due facce: quella di oggi, bella e stimolante anche se un po’ assopita a livello ideologico, e quella di ieri, impaurita a spaventata, dove dopo le otto di sera vigeva una sorta di coprifuoco che rendeva difficoltoso per i giovani anche solo camminare in centro per una birra o un gelato”.
Quale l’approccio riservato alla lingua di Alessandro Perissinotto, scrittore e romanziere ma non autore di opere teatrali?
``Da subito mi sono trovata molto bene in quanto considero la scrittura di Perissinotto molto teatrale, a partire dai numerosi dialoghi che ben si prestano alla trasposizione scenica. Detto questo, avendo a che fare con un romanzo di oltre trecento pagine, è inevitabile si sia reso necessario un lavoro di selezione nella definizione dell’impianto drammaturgico, ma anche l’attività di revisione ed adattamento è stata per così dire agevolata da una qualità di scrittura pronta a rivivere su di un palcoscenico”.
Lo spettacolo, dicevamo in apertura, affronta due passaggi epocali del nostro recente passato: il Sessantotto e il dibattito sulla malattia mentale legato alla Legge Basaglia. Quali i possibili spunti per i giovani d’oggi che non hanno vissuto quegli anni in prima persona?
``Il messaggio più importante vuole esser che la memoria serve per difendersi dal futuro: in assenza di memoria e di cultura, il giovane di oggi non potrà capire se quello che sta costruendo sia qualcosa di nuovo e utile, o qualcosa che in passato è già stato edificato, e magari anche crollato. Lo spettacolo vuol essere da un lato un invito a credere fortemente in qualcosa, dall’altro uno stimolo a riempire quei pericolosi buchi neri dentro cui oggi è facile perdersi, o che si tende a riempire in maniera sbagliata”.
Produzione Tangram Teatro diretta da Ivana Ferri, con la voce di Michele Di Mauro, Quello che l’acqua nasconde sarà interpretato da Lorenzo Bartoli, Bruno Maria Ferraro, Valentina Virando, Andrea Fazzari e Lorenzo Paladini: al Teatro Gobetti due settimane di repliche martedì, giovedì e sabato alle 19.30, mercoledì e venerdì alle 20.45, domenica alle 15.30, con biglietti ad Euro 28 ed Euro 25. Info allo 011.51.69.555 o su www.teatrostabiletorino.it.
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