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Le poetiche voci al femminile di Giovanni Testori
a cura di Roberto Canavesi
Visto al Teatro Astra di Torino mercoledì 16 aprile 2025
da Tre lai di Giovanni Testori 

un progetto di Sandro Lombardi per Anna Della Rosa 

assistente alla regia Virginia Landi; assistente alla drammaturgia Alberto Marcello; disegno luci Vincenzo De Angelis 

Produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Compagnia Lombardi-Tiezzi in collaborazione con Associazione Giovanni Testori
Incontrare i Tre lai di Giovanni Testori vuol dire tornare indietro nel tempo quando, da giovane studente alle prese con l'esame di filologia romanza, ci si è per la prima volta imbattuti in questa antica modalità lirico narrativa, al tempo stesso lamento e grido di dolore, attraversata da una lingua di non facile comprensione intrisa di dialetto, vetusti arcaismi come inaspettati neologismi: voce intima interiore capace di assumere a tratti i ritmi della litanìa tra improvvisate rime e una non meno curiosa sintassi. 
E se grande, al tempo, furono curiosità e stupore, non minore fascino suscitano ancor oggi all'ascolto le parole dello scrittore milanese che Anna Della Rosa fa sue per Erodiàs e Mater strangosciàs, dittico testoriano presentato in settanta intensi minuti.

"Anna carissima, due parole adesso che stai per andare in scena, questo che ti consegno è quanto resta di un mio spettacolo…": questo il curioso incipit affidato alla voce fuori campo di Sandro Lombardi che della trilogia a fine anni Novanta fu interprete per poi oggi affidarli come prezioso dono, convinto che proprio lei potesse farne rivivere magia e fascinazione. Un atto di generosità artistica deciso dopo aver assistito al primo tassello della trilogia, la Cleopatràs portata in scena dalla Della Rosa, spettacolo che ha persuaso Lombardi a proporre prima, ed accompagnare poi, la più giovane collega nella ripresa artistica di un'indimenticabile pagina del teatro italiano.

E cosi su di un tappeto circolare con al centro un trono, di lato da una parte la testa del Battista, dall'altro una semplice sedia, ecco entrare a piedi scalzi l'attrice con indosso un frac, camicia bianca, un panno insanguinato a simboleggiare il drappo sindonico: inizia così il primo excursus nell'Erodiàs, immaginario dialogo con la testa insanguinata verso la quale si rivolge come se fosse corpo vivo, ripercorrendo il tentativo di seduzione come il rifiuto, l'arrivo di Salomè e la lenta, costante, opera di persuasione verso il Re di mettere a morte l'uomo amato. Di seguito il passaggio alla Mater strangosciàs, l'ultimo dei Lai che vede una madre piangere il figlio, chiedendo tanto a noi quanto a se stessa il motivo dell'accaduto, cercando disperatamente di comprenderne le ragioni di fronte a quel lenzuolo ultimo simbolo di un figlio che non c'è più: con toni all'apparenza più tenui, in questo secondo momento la donna spazia dagli anni della gioventù al tormentato presente non risparmiando grotteschi accenni diretti al pubblico, testimone spiazzato quanto coinvolto della disperata invocazione.

Comune denominatore dei due testi, dalla scena si irradia la potenza dell'inimitabile lingua, insieme di suoni e parole strane a popolare una sintassi che trasforma il dialetto della Brianza in idioma nuovo, soggetto a continue reinvezioni linguistiche: con estrema cura ed attenzione tutto questo è padroneggiato da Anna Della Rosa, in totale controllo nel non farsi schiacciare dal peso delle parole e dalla forza delle due donne innamorate, l'Erodiàs che maneggia la testa mozzata di Giovanni Battista, e la Madre con tra le braccia la tunica del Cristo. Narratrice della celebrazione di un amore capace di potersi manifestare nella sua pienezza, secondo il dettame testoriano, solo in un contesto di dolore e privazione, per il pubblico di oggi l'applaudita interprete è esemplare continuum della scrittura dell'autore proposta nell'originaria rilettura di Lombardi, tessera di un mosaico che la vede dare nuova linfa al testo, ed al contempo riflettere sulla platea la luce senza tempo di due donne simbolo accomunate da un infelice destino di sofferenza per quanto depositarie di grande umanità.
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