Tra le proposte in cartellone abbiamo assistito alla Casa del Teatro Ragazzi e Giovani alla performamce EcO della compagnia iberica Ymedioteatro, spettacolo comico che parla di libertà e della poesia che ci lega alla vita: Alex Ramos e Santos Sanchez sono due simpatici clown di nero vestiti, con tanto di immancabile naso rosso, amici per la pelle legati da un moschettone che ne limita i movimenti. Vorrebbero separarsi, ma più cercano di allontanarsi più in realtà si avvicinano, rafforzando un legame fatto di semplici gesti e di piccole grandi magie con due camicie pronte a diventare goffi fantasmini, del nastro isolante da cui prende vita una buffa creatura, due rissosi cappelli da notte con tanto di pon pon colorato. E nel tentativo di rompere il legame che li unisce, libertà conquistata solo alla fine prima di sciogliersi in un caldo abbraccio, mentre le pareti della loro gabbia crollano al suolo, Alex e Santos divertono con un teatro mimico che scorre via grazie all'interazione con gli oggetti di scena e alla presenza di una non trascurabile componente sonora.
Alla collaborazione con il Festival Play with food si deve invece La grande guerra degli orsetti gommosi andata in scena a Casa Fools, con i dinamici Valentina Fadda e Leonardo Tomasi diretti da Angelo Trofa, in uno spettacolo del collettivo sardo Batisfera Teatro, per un pubblico interessato spettatore del più classico dei giochi da tavolo: nei sette capitoli di cui si compone il racconto lo scenario è da subito grottesco con la nazione degli Orsetti Gommosi decisa a muovere guerra contro il confinante stato dei Dinosauri. Da un lato le morbide creature colorate pronte a comporsi in milizie ordinate, dall’altro i burocrati rappresentanti di un’entità che si destreggia tra carte bollate e timbri: la fantasia autodistruttiva contro la burocrazia per un conflitto dall’esito scontato che vedrà gli orsetti soccombere, ma non perdere la battaglia della simpatia se riferita ai più piccoli ed interessati spettatori. In poco più di mezz’ora sul tavolo nero, illuminato da mini torce, prende forma un kolossal in miniatura, metafora dell’esistenza volta al nichilismo sulla spinta di un’indefinibile pulsione che spesso spinge l’uomo ad intraprendere azioni dal destino già scritto, per il solo piacere di mettersi alla prova.
La terza proposta cui abbiamo assistito alla Casa del Teatro Ragazzi e Giovani ha per titolo Hilar, coreografia di Antonella D’Ascenzi tra i titoli selezionati per la vetrina del Progetto Cantiere 2020: bianchi palloncini, una marionetta dalle umanissime fattezze e tanti percorsi geometrici disegnati sul fondo, o anche solo abbozzati nell’aria, per il racconto di immaginari voli in perenne bilico tra realtà e fantasia. I fili del teatro di figura ma anche quelli invisibili della luce e dello spazio definiscono un tracciato di relazioni tra il corpo dell’interprete e lo spazio nudo, contesto scenografico con cui la D’Ascenzi riesce ad interagire al netto di alcuni tempi morti che offuscano l’esito finale di un lavoro cui il tempo ed alcuni aggiustamenti non potranno che giovare.
Ultima incursione nel cartellone di Incanti 2021 è stata La sposa blu, produzione Zerogrammi in collaborazione con Biancateatro interpretata da Silvia Battaglio: liberamente ispirata a Barbablù di Charles Perrault, l’applaudita performance dell’attrice e danzatrice torinese vede tre marionette della storica collezione Toselli, tra i tanti gioielli dell’Istituto per i Beni Marionettistici e il Teatro Popolare diretto da Alfonso Cipolla, interagire con il corpo e la figura della Battaglio, coprotagonista di una rilettura della celebre fiaba che strizza l’occhio alla contemporaneità.
Di protagoniste si parla per le tre marionette, perché l’impressione è che il ruolo dell’attrice sia in questo caso complementare alla loro muta presenza: in un disegno drammaturgico parallelo all’intreccio di Perrault, l’attrice si mette al servizio delle marionette, ne diventa la voce, l’agile corpo, ne fa riviver l’anima in un giuoco di specchi e rifrazioni che vuole ora la marionetta umanizzarsi, ora l’interprete farsi burattino. A ciò si aggiunga la presenza della componente musicale non semplice colonna sonora, ma scenografia d’ambiente per dettare ritmi di un’azione all’inizio molto coreografica, con il passar del tempo sempre più teatrale: La sposa blu è tutto questo, ed è anche il coraggioso tentativo di riaffermare la pericolosità del desidero di possesso e di esclusività in campo affettivo. Nel perentorio "aprirai solo le porte che dico io", rivolto da Barbablù alla sua giovane sposa, ritroviamo l’eco di tanti imperativi rivolti oggi a donne accecate dalla paura: e nell’atto rivoluzionario di contraddirne l’ordine, aprendo la porta segreta per scoprire i cadaveri delle precedenti mogli, ci piace scorgere il coraggio che non conosce tempo, quella ribellione tanto sofferta quanto necessaria per difendere la compromessa libertà personale e ritornare in possesso della propria vita, seguendo il destino delle spose-marionette che sul calar del buio rinascono a vita nuova traghettandosi in un futuro lontano da violenza ed oppressione.
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