con Fausto Paravidino, Iris Fusetti, Eva Cambiale, Jacopo Maria Bicocchi, Angelica Leo, Irena Villa
e con (in ordine alfabetico) Gianluca Bazzoli, Giuliano Comin, Giacomo Dossi, Marianna Folli, Emilia Piz, Sara Rosa Losilla, Maria Giulia Scarcella
scene Laura Benzi, costumi Sandra Cardini
maschere Stefano Ciammitti
musiche originali Enrico Melozzi eseguite da Orchestra Notturna Clandestina diretta dall’autore
luci Lorenzo Carlucci
produzione Teatro Stabile di Bolzano
Lo spettacolo racconta della vita di due famiglie tra loro vicine e quasi imparentate, che si formano negli anni Sessanta per una combinazione quasi casuale di incontri e affetti. Antonietta è innamorata prima di Giorgio, ma si sposerà poi con Carlo, rimanendo sempre legata, con la sua famiglia, a quella del primo fidanzato. Giorgio è un grande appassionato di Vasco Pratolini, Carlo finirà per fare il tassidermista. Già evidente un impianto metaforico in questa professione, elemento che peraltro, dopo la presentazione del personaggio, non sarà più ripreso. La vita come oscillazione di ribellione e conservazione/imbalsamazione/mantenimento dello status quo, della routine, le energie generazionali, tanto di chi ha fatto il Sessantotto, quanto dei movimenti di contestazione più recenti, come i no global di cui Paravidino si era occupato nel suo testo Noccioline-Peanuts, o le FEMEN, citate espressamente in questo spettacolo in una espressione iconoclastica, e in generale le istanze femministe, animaliste, ambientaliste.
Anche se la nascita di Emma, spartiacque dello spettacolo e delle due generazioni che racconta, coincide con uno spartiacque importante della storia italiana, il rapimento di Aldo Moro, Paravidino evita saggiamente il bigino storico stile La meglio gioventù, per concentrasi su una storia esistenziale sugli stati della vita. Nemmeno induce alle rievocazioni di atmosfere, si limita a qualche canzone come Rain and Tears.
L'impianto scenico allestito da Paravidino è molto ricco, con una sorta di palcoscenico a doppio fondo con un sipario interno che permette di separare luoghi e tempi per esempio il presente dai ricordi. E al contempo la scena è totalmente aperta agli spettatori, la quarta parete è assolutamente inesistente, come del resto in quasi tutta la scena contemporanea. Gli attori si rivolgono frequentemente al pubblico alternando la funzione di personaggio e quella di narratore. Il meccanismo è quello alla Woody Allen, autore cinematografico ma anche teatrale che Paravidino ha sempre avuto come ispiratore (anche nel suo unico film, Texas), della compresenza di colui che ricorda con i suoi ricordi, usato per esempio in Io e Annie. E non lesina elementi naturalistici come la neve che cade. A ciò Paravidino aggiunge un'altra dimensione di teatro di figura, fatto di maschere e marionette. Nel primo caso con un sapore grottesco a evocare un mondo austero quanto ridicolo di professori e critici, e con uno stile che ci porta alle avanguardie teatrali di Kantor o dei Bread and Puppet. La marionetta di Emma invece è manovrata da tre dei personaggi in scena, nel meccanismo del teatro Bunraku giapponese. E poi c'è anche il teatro povero puro che gioca all'evocazione: è il meccanismo in cui il fagotto della neonata Emma è semplicemente simulato, senza l'uso di oggetti di scena come un bambolotto. Due simulazioni che mimano la figura di Emma prima della sua comparsa in carne e ossa.
Come può il teatro rappresentare un'assenza e diversamente dalla pittura? Il ritratto di Emma è l'unica immagine che dovremmo avere di lei, ma se venisse distrutto verrebbe eliminata ogni sua testimonianza figurativa. Qui però Paravidino si avventura in un tortuoso discorso su vita, pittura e teatro, arte e spettacolo, rappresentazione in cui si perde. Laddove lo spettacolo inizialmente mostrava inalterata la brillante e graffiante scrittura cui il drammaturgo ci ha abituato, la struttura da detective story (che Paravidino aveva già saputo usare in Natura morta in un fosso), la parte finale, ambiziosa e pretenziosa, affonda.
@Le Pera