regia Leo Muscato
con (in o.a.) Elena Aimone, Matteo Alì, Marta Cortellazzo Wiel, Fabrizio Costella, Alfonso De Vreese, Giordana Faggiano, Stefano Guerrieri, Celeste Gugliandolo, Mauro Parrinello, Martina Sammarco, Michele Schiano Di Cola, Valentina Spaletta Tavella, Alice Spisa
scene Andrea Belli; costumi Giovanna Fiorentini; luci Alessandro Verazzi; assistente regia Marialuisa Bafunno
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
A dirigere uno dei pochi titoli del corpus scespiriano non catalogabili in un genere è Leo Muscato, ispirato regista per un allestimento corale che trasforma in un’onirica favola il racconto di Sebastiano e Viola, gemelli separati durante un naufragio sulle coste dell’Illiria, il cui finale ricongiungimento chiude il cerchio su incontri scanditi da scambi di persona e continui equivoci: gli ambienti regali di Orsino, Duca d’Illiria, diventano una landa boscosa che Andrea Belli realizza in una scena vuota, spazio fisico, ma anche proiezione mentale, dove materializzare il gioco di intrecci erotico-amorosi che vedono protagonisti un’umanità ora dai ritmi frenetici, ora in preda a quell'invisibile forza pronta a sfociare nella violenza, verbale come fisica, per quanto sempre mitigata dalla comicità di un linguaggio incline al grottesco. Come in un divertente gioco di specchi, in due ore filate il pubblico assiste al più classico dei tourbillon amorosi con Orsino che ama la Contessa Olivia a sua volta infatuata di Viola, en travestì nei panni di Cesario, il cui cuore però batte per il Duca: ed ancora le trame ordite da Sir Toby, Sir Andrey e Fabian con la supervisione dell’arrampicatrice sociale Maria, dama di compagnia della Contessa regista di truffe e sberleffi verso il maggiordomo Malvolio, egotico quanto ingenuo opportunista che sogna di cadere nelle braccia della sua padrona Olivia. A chiudere il cerchio ci penseranno Sebastiano ed il fido Antonio, il cui arrivo è funzionale alla ricomposizione delle coppie, allo svelamento degli intrighi ed alla definizione dell’inevitabile happy end con tanto di matrimoni.
Unica voce fuori dal coro, il solo personaggio a non salire mai sul palco, ecco Feste, il buffone di Olivia, che nella miglior tradizione del fool scespiriano si ritaglia lo spazio di coscienza morale del gruppo: spirito libero pronto a ricordarci che non è poi cosi necessario cercare sempre un significato morale alle cose, rifugiandosi altresì in quella sana e irrazionale follia che la sua ingestibile natura così ben incarna.
Assai rispettoso dell’originario carattere ibrido, commedia-non commedia dove i personaggi di continuo parlano e si comportano in nome di un donchisciottesco amore idealizzato, Leo Muscato con mano lieve asseconda il fluire di parole che riferiscono di una passione non sempre sana e genuina, talvolta riferita in modalità polifonica nelle sue versioni più istintive e immorali dove inganni e sotterfugi accompagnano l’agire dei singoli personaggi: lato loro i tredici applauditi interpreti, citarne singolarmente uno sarebbe un torto per gli altri, alla perfezione rivestono il ruolo di players elisabettiani, attori/attrici ma al bisogno anche musici, cantanti e, più in generale, "giocatori" in un meccanismo, in perenne bilico tra sogno e mistero, dove la realtà del momento è presto smontata da una nuova (apparente) verità, a sua volta destinata ad esser travolta dal fluire degli eventi.
Alla prova dei fatti La dodicesima notte di Leo Muscato e dei suoi ragazzi si rivela essere una giocosa favola con tanto di amaro retrogusto sul palesarsi di un amore motore trainante l’agire umano, ma non sempre in grado di pacificare animi e rapporti, se è vero che non di rado è possibile trovarlo sodale compagno di quella follia che, per usare le parole del "saggio" Feste, "se ne va in giro per il mondo e come il sole, splende ovunque".
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