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Il viaggio nel tempo degli uccelli di Wajdi Mouawad
a cura di Roberto Canavesi
Visto al Teatro Astra di Torino martedì 10 ottobre 2023
di Wajdi Mouawad 

consulente storico Natalie Zemon Davis; traduzione Monica Capuani del testo originale Tous les oiseaux; adattamento Lorenzo De Iacovo, Marco Lorenzi

regia Marco Lorenzi 

con Aleksandar Cvjetković, Elio D’Alessandro, Said Esserairi, Lucrezia Forni, Irene Ivaldi, Barbara Mazzi, Raffaele Musella, Federico Palumeri, Rebecca Rossetti 

assistente alla regia Lorenzo De Iacovo; dramaturg Monica Capuani; scenografia e costumi Gregorio Zurla; disegno luci Umberto Camponeschi; disegno sonoro Massimiliano Bressan; vocal coach e composizioni originali Elio D’Alessandro; esecuzione al pianoforte de La marcia del tempo e Valzer per chi non crede nella magia Gianluca Angelillo; video Full of Beans – Edoardo Palma & Emanuele Forte; consulente lingua ebraica Sarah Kaminski; consulente lingua tedesca Elisabeth Eberl 

un progetto di Il Mulino di Amleto produzione A.M.A. Factory, TPE – Teatro Piemonte Europa, Elsinor Centro di Produzione Teatrale e Teatro Nazionale di Genova in collaborazione con Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale e Festival delle Colline Torinesi con il sostegno di ART-WAVES Produzioni 2022 e 2023 Fondazione Compagnia di San Paolo; immagine di copertina Paolo Arlenghi
"La verità non è un bene: è peggio della giustizia, è peggio di tutto": in questa che potrebbe sembrare un’assurda provocazione si riassume uno dei significati di Come gli uccelli, deflagrante dramma in quattro atti di Wajdi Mouawad che Monica Capuani traduce per la prima volta in italiano per l’allestimento del Mulino di Amleto diretto da Marco Lorenzi, anteprima della ventottesima edizione del Festival delle Colline Torinesi nell’adattamento a quattro mani dello stesso Lorenzi e di Lorenzo De Iacovo.

Concetto universale intorno al quale sono state scritte e dette migliaia di pagine e parole, l’idea di verità è il fulcro di un articolato impianto dalla disarmante e dolorosa attualità, epica collettiva di una famiglia, i Zimmerman, che il drammaturgo libanese racconta nella forma di viaggio diacronico di estrema complessità: una prova interpretativa immaginata come insidiosa scalata drammaturgica e politica, da ultimo linguistica con non trascurabili passaggi recitati in ebraico, arabo e tedesco, che costringe lo spettatore ad interrogarsi su identità culturale ed appartenenza etnica, sulle proprie origini storiche e sulla moderna genetica, in un continuo entrare ed uscire dal tempo con sullo sfondo il conflitto arabo palestinese parte integrante della storia contemporanea.

Nella parabola dell’ebreo Eitan "il resistente" e dell’araba Wahida "l’unica", moderni Romeo e Giulietta incontratisi in una biblioteca newyorchese, da subito risalta l’amore come sentimento grimaldello per scardinare ostacoli e divieti, salvo poi fare i conti con un assurdo destino di morte e violenza che, nel caso dei due giovani innamorati, ha le fattezze di un attentato sull’Allenby Bridge, il ponte collegamento tra Israele e Giordania. E da qui, con Eitan in un letto di ospedale tra la vita e la morte, Mouawad immagina di far partire la sua resa dei conti: narrazione che vede genitori e nonni del giovane arrivare dalla Germania per subito immergersi in un passato loro malgrado da rivivere, ed in un presente segnato da dolorose cicatrici. I piani temporali si mescolano e sovrappongono nella definizione di un quadro di insieme in cui trovano spazio impensate rivelazioni ed atavici odi, gli inquietanti fantasmi di un passato che torna con domande senza risposta, di tragedie senza un perché, e da ultimo di scomode verità in grado alla fine di sparigliare le carte. 
E così, quella che all’inizio delle tre ore e mezza di spettacolo sembra poter essere una commedia dai toni vagamente romantici, diventa presto dramma collettivo di due popoli, tragedia culturale con uomini e donne a pagare l’assurdo prezzo di un ancestrale odio radicato da generazioni.

Di fronte ad un’evidente abbondanza e complessità di contenuti, per la sua rilettura Marco Lorenzi sceglie la strada dell’essenzialità, riducendo al minimo l’oggettistica in scena (tavoli con sedie, un letto d’ospedale, una poltrona e un set di valigie) e ponendo al centro delle nuda scena l’enorme muro rettangolare "disegnato" da Gregorio Zurla, suoi anche i costumi: l’ingombrante struttura è ora la presenza che separa gli innamorati e divide due popoli, ora l’elemento mobile per disegnare ambienti, ma anche parete su cui proiettare stralci di testo e, non da ultimo, originale macchina del tempo per scandire le tappe di un viaggio che spazia della Guerra dei Sei Giorni del 1967 ai non meno tormentati anni presenti, passando per la stagione stragista dei primi anni Ottanta. Con il passare dei minuti si assiste alla rappresentazione destrutturata di un testo vivisezionato con modalità autoptiche, più che rappresentato nella sua organicità: e se costante è l’attività di isolamento delle sequenze narrative, non di meno lo è per gli spazi e per le luci di Umberto Camponeschi, mai troppo invadenti, e per una componente acustica che si fa scenografia sonora, ideale "ponte" tra mondi e culture forse mai destinati ad entrare in contatto.

Perfetta sintesi di complessità ed essenzialità, gli uccelli di Wajdi Mouawad spiccano il loro volo, salutati da meritate ovazioni, disegnando nel cielo immagini dalla disarmante e tragica umanità a partire da Eitan e Wahida che Federico Palumeri e Lucrezia Forni tratteggiano mescolando disincanto giovanile a matura sofferenza, all’inizio goffi innamorati poi sempre più adulti consapevoli di allontanarsi: insieme a loro dividono il meritato successo i "nonni" Aleksandar Cvjetković ed Irene Ivaldi, a distanza di decenni l’uno di fronte all’altra per scrivere la parola fine su di un passato che presenta il conto, e i "genitori" Elio D’Alessandro e Rebecca Rossetti, padre e madre incapaci di riconoscere il vero amore, da loro forse mai provato, superando i preconcetti imposti da assurde ideologie. Ed ancora Said Esserairi, Barbara Mazzi e Raffaele Musella, tutti applauditi interpreti di uno spettacolo manifesto con cui indagare i drammi di un passato che si fa presente con il suo inaudito carico di violenze tragicamente pronte ad abitare l’immediato futuro.
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