traduzione di Cesare Garboli; consulenza drammaturgica Fausto Paravidino
con (in ordine alfabetico) Fausto Cabra, Vittorio Camarota, Fabrizio Contri, Michele Di Mauro, Christian di Filippo, Mariangela Granelli, Giulia Mazzarino, Nicola Pannelli, Mario Pirrello, Gabriele Portoghese, Franco Ravera, Michele Schiano Di Cola
e con gli allievi della Scuola del Teatro Stabile di Torino Pietro Maccabei, Lucia Raffaella Mariani, Cristina Parku, Davide Pascarella
regia Valerio Binasco; scene e luci Nicolas Bovey; costumi Michela Pagano; suono Claudio Tortorici; assistente alla regia Simone Luglio
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
Tre ore e mezza abbondanti per immergersi a pieni polmoni nella saga del Principe di Danimarca che Binasco realizza servendosi di un gruppo di attori, molti dei quali suoi fedelissimi, eccellenti interpreti di un racconto fuori dal tempo con uomini e donne non idonei al ruolo che la vita ha riservato loro: “piccoli” attori in un copione “monstre”, decisamente più grande di loro, di fronte al quale, in modalità ora più consapevole ora più grottesca, cercano ciascuno di emergere e galleggiare. Inadeguatezza di fondo e difficoltà di vivere che diventa palese manifesto se rapportata a quella idea di esercizio del potere che a più livelli attraversa le pagine scespiriane: il potere malignamente agognato da Re Claudio e Gertude, come quello goffamente inseguito da Polonio, per arrivare alla dimensione “geneticamente” subita da un protagonista in continua lotta contro sé stesso.
I personaggi dell’Amleto di Binasco sono in perenne rincorsa, arrivano sempre un attimo dopo quanto sarebbe richiesto loro, e proprio questo affanno li rende se possibile ancor più umani ed antieroici, credibili interpreti di una tragedia della vita che alla fine li vedrà inevitabilmente soccombere: il tutto in un contesto spaziale che Nicolas Bovey marca con luci di impatto e pochi oggetti, un trono, sedie, pedane di legno, ampi tendaggi, elementi semplici e funzionali a definire gli spazi di una recitazione ottimamente sostenuta da tutto il cast. A partire dall'Amleto di Gabriele Portoghese, giovane dilaniato dai propri fantasmi interiori, in lotta con un atavico complesso di inferiorità, per arrivare al Re Claudio di un Michele Di Mauro a tratti debordante nella sua maschera di improvvisato e dilettante cattivo: ed ancora la Gertrude di Mariangela Granelli, madre puttana nella considerazione di Amleto, anch'essa in preda ai dilemmi di un doppio ruolo che la vorrebbe affettuoso genitore verso un figlio sofferente, ma anche complice dell’efferato delitto. E se il Polonio di Nicola Pannelli è un borghese piccolo piccolo la cui inadeguatezza si riflette nel timore che i figli gli possano rovinare la reputazione con i piani alti, Giulia Mazzarino incarna l’Ofelia prima Lolita, poi del tutto persa nei deliri di una pazzia per lei, da sempre passiva nella vita, sorta di estrema catarsi.
Insieme a loro, con quattro giovani allievi della Scuola per Attori dello Stabile torinese, dividono il meritato successo Fausto Cabra, Fabrizio Contri, Vittorio Camarota, Christian Di Filippo, Mario Pirrello, Franco Ravera e Michele Schiano Di Cola, tessere indispensabili di un mosaico teatrale da vedere che il pur provato pubblico mostra di gradire con calorosi e convinti applausi.
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