Durata spettacolo: 3 ore e 09 minuti incluso intervallo
Coro, Corpo di ballo e Orchestra del Teatro alla Scala
Nuova Produzione Teatro alla Scala
Direttore: Diego Fasolis
Regia: Matthias Hartmann
Scene: Volker Hintermeier
Costumi: Malte Lübben
Luci: Mathias Märker
Drammaturgo: Michael Küster
Coreografo: Reginaldo Oliveira
Idomeneo: Bernard Richter, Idamante: Michèle Losier, Arbace: Giorgio Misseri, Ilia: Julia Kleiter, Elettra: Federica Lombardi, Gran Sacerdote: Krešimir Špicer, Voce di Nettuno: Emanuele Cordaro
Opera seria all’italiana, crocevia di sperimentazioni e occasione di autodeterminazione per un Mozart venticinquenne che poté operare su un impianto classico, fatto di lunghi recitativi accompagnati dal basso continuo e di suggestive e maestose arie, inserendo cori, danze e brani orchestrati. Escamotage di spettacolarizzazione, innesti di modernità pura pensati per la corte di Monaco. Emerge dalla partitura (come emergerà Idomeneo dai flutti ) una potenza psicologica che frantuma ogni struttura e ogni impostazione. Idamante ne è l’esempio per eccellenza. Un personaggio complesso, sfumato, delicato; plasmato di una ricca vena psicologica, non a caso tratteggiata dalla voce di un soprano. Elettra è un personaggio potente, passionale e violento, una vocalità dirompente e perfettamente delineata. Idomeneo è letteralmente in balia dei suoi fantasmi e dei fantasmi dei troiani uccisi, dal sangue inutilmente versato e che che dovrà versare ancora per colpa di uno scellerato giuramento dalle cui conseguenze cercherà inutilmente di fuggire. È però in Ilia che troviamo tutte le componenti della psicologia Mozartiana. In un personaggio verso il quale è impossibile non provare empatia, con una vocalità ampia, complessa e ricca di sfumature drammatiche.
Le tematiche all’interno di Idomeneo sono molte e paurosamente attuali. Il rapporto con lo straniero, la contaminazione, il passaggio dalla da una società arcaica, religiosa e mistica a un governo della ragione volta all’umanizzazione. Il rischio di attingere a piene mani in questi temi e di sfigurare di conseguenza l’opera in un’attualizzazione forzata o in una deriva interpretativa personalistica era concreto: basti pensare alle enormi polemiche suscitate in Germania dal riadattamento del regista Hans Neuenfels, che prevedeva una scena con teste decapitate di Maometto, Gesù, Buddha e del Dio Poseidone. Oppure all’allestimento, sicuramente più riuscito, di Robert Carsen per il teatro Real di Madrid in cui il regista canadese ha attualizzato l’opera in un affresco fatto di rifugiati, di muri e di riferimenti fin troppo evidenti alle drammatiche situazioni che oggi sconvolgono l’occidente.
La versione di Hartmann, messa in scena al teatro alla Scala di Milano e diretta da Diego Fasolis, sottolinea invece la profonda modernità dei contenuti contrapponendola volutamente a un’ambientazione arcaica, senza tempo. A un luogo di fanatismo e di superstizione, scenario per l’eterna contrapposizione tra destino e autodeterminazione dell’uomo. Una realtà dove la possibilità di riscatto dall’imposizione di leggi e di divinità è elemento imprescindibile per la risoluzione dei drammi intimi dell’uomo. Per Hartmann è assolutamente irrilevante se il giuramento di Idmeneo sia dovuto o meno dalla presenza effettiva di un Dio. Sono le conseguenze di questo giuramento che contano, che segnano inevitabilmente le esistenze di chi ne sarà toccato, sia esso un figlio o la vittima di una guerra assurda. Le azioni, le parole, le promesse hanno delle conseguenze concrete. Anche questo, in fondo, è un tema di pressante attualità.
La scena è imponente, massiccia, evocativa. L’enorme sagoma che richiama al Minotauro cretese domina tutto il dramma con spaventosi occhi di fuoco (difficile non pensare al Prometeo incatenato di Ronconi). Così come il drammatico relitto, illuminato dalle calde luci di Mathias Märker. L’impatto è sicuramente potente, nonostante alcune vistose ingenuità come gli inutili riferimenti marini che rimandano più a suggestioni da parco dei divertimenti che alle oscure profondità dell’oceano mozartiano. Spariscono letteralmente, forse per scelta stilistica, i costumi di Malte Lübben, annullati dal predominio assoluto delle scene che hanno il merito di dare movimento all’opera anche nei suoi momenti più statici e irrisolti.
Come l’Idomeneo, dopo il suo esordio del 1780 superò faticosamente le numerose contraddizioni e le innegabili debolezze del libretto diventando, grazie alle potenti invenzioni di Mozart, uno spartiacque imprescindibile verso la modernità, così anche questo allestimento riesce oggi a emergere a testa alta, nonostante tutto, nonostante alcune evidenti ingenuità di messa in scena, nonostante la sua latitanza dai cartelloni; proprio grazie alla sua capacità di svelarci, ancora oggi, le innumerevoli e angoscianti contraddizioni della nostra contemporaneità.
Idomeneo