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L'Orestea della compagnia Anagoor apre la Biennale Teatro 2018
a cura di Giampiero Raganelli
Visto al Teatro alle Tese il 20 luglio 2018 nell'ambito della Biennale Teatro
Orestea. Agamennone, Schiavi, Conversio
sull’Orestea di Eschilo 
drammaturgia Simone Derai, Patrizia Vercesi 
traduzione dal greco Patrizia Vercesi, Simone Derai 
orizzonte di pensiero e parola S. Quinzio, E. Severino, S. Givone, W.G. Sebald, G. Leopardi, A. Ernaux, H. Broch, P. Virgilio Marone, H. Arendt, G. Mazzoni 
con Marco Ciccullo, Sebastiano Filocamo, Leda Kreider, Marco Menegoni, Gayané Movsisyan, Giorgia Ohanesian Nardin, Eliza G. Oanca, Benedetto Patruno, Piero Ramella, Massimo Simonetto, Valerio Sirnå, Monica Tonietto, Annapaola Trevenzuoli 
voce del messaggero Pierdomenico Simone 
danza Giorgia Ohanesian Nardin 
musica e sound design Mauro Martinuz 
assistente al suono Ludovico Dal Ponte 
esecuzioni al pianoforte di Kindertotenlieder n.1 di Gustav Mahler Massimo Somenzi
scene e costumi Simone Derai 
realizzazione costumi Serena Bussolaro, Christian Minotto 
accessori Christian Minotto, Massimo Simonetto, Silvia Bragagnolo 
scultura mobile Istvan Zimmermann e Giovanna Amoroso – Plastikart Studio 
video Simone Derai, Giulio Favotto 
video / riprese, direzione della fotografia, post-produzione Giulio Favotto 
video / concept, editing, regia Simone Derai 
light design Fabio Sajiz 
assistenza tecnica Mattia Dal Bianco 
assistente al progetto Marco Menegoni 
assistente alla regia Massimo Simonetto 
regia Simone Derai 
coordinamento organizzativo Annalisa Grisi 
management e promozione Michele Mele 
produzione Anagoor 2018 
con il sostegno di Fondation d’entreprise Hermès nell’ambito del programma New Settings
coproduzione Centrale Fies, Teatro Metastasio di Prato, TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro Stabile del Veneto 
con la partecipazione di Theater an der Ruhr 
con il sostegno della Compagnia di San Paolo 
sponsor tecnici Lanificio Paoletti, Printmateria, 3DZ 
si ringrazia Ministero della Cultura e dello Sport della Repubblica Greca, Museo Archeologico di Olimpia, Istituto Italiano di Cultura di Atene, Lottozero / textile laboratories
Durata: 240'
In scena al Teatro Strehler dal 13 al 16 novembre
Frammenti, corpuscoli si agitano nell'aria, un pulviscolo come di brandelli generati da un'esplosione, un caos primordiale e un'entropia, come l'ultima scena di Zabriskie Point. Con questa immagine, proiettata su un grande schermo, inizia l'Orestea degli Anagoor, spettacolo di apertura della Biennale Teatro 2018. L'immagine convergerà in quella geografica dell'Europa, per zoomare sulla Grecia, sulle isole dell'Egeo. La Grecia brucia, l'Europa brucia nell'allestimento della compagnia che ha da sempre attinto alla classicità. E con l'opera di Eschilo arriva all'epicentro di quella tempesta di follia, nelle parole di Emanuele Severino – che curò una traduzione dell'Orestea per Franco Parenti e Andrée Ruth Shammah –, che è all'origine della cultura occidentale stessa, la nascita della filosofia, che è l'evocazione del senso inaudito della morte. La morte come il cadere nel niente, la nascita come l'uscire dal niente e la vita come lo stare provvisoriamente fuori dal niente. Così sono le esistenze fugaci dei personaggi della trilogia di Eschilo, brevi istanti, transizioni tra un niente e l'altro, vendicati e vendicatori, uccisori e uccisi, in preda delle Erinni. 

Il lavoro della compagnia Anagoor restituisce una densissima stratificazione di suggestioni e riflessioni che proprio da questo senso di non essere eschiliano della morte partono e convergono. Il mattatoio e l'agnello bianco eviscerato, equivalenti 'edulcorati', odierni del teatro di Hermann Nitsch. E poi i Canti per i bambini morti di Gustav Mahler e Friedrich Rückert, ancora Socrate con la sua ultima frase, del gallo a Esculapio, suggestioni da Sergio Quinzio, dallo stesso Severino, da Sergio Givone, Giacomo Leopardi, Annie Ernaux, Hermann Broch, Virgilio, Hannah Arendt, Guido Mazzoni, Winfried Georg Sebald. Da quest'ultimo autore viene messo in scena un lungo brano del suo Le Alpi nel mare, riflettendo del concetto di sepoltura, come un contratto giuridico di inalienabilità, sui riti funebri della Corsica ottocentesca. Compare a un certo punto della storia la fotografia, del defunto da apporre sulle lapidi, come una lastra per fissare un'aurea spettrale, come tentativo di immortalità, di sconfiggere il niente in cui si dovrà ricadere. Sono proprio le necropoli del passato a fornire i reperti archeologici, le testimonianze per il futuro, come nella citazione – nel catalogo della Biennale – del taccuino di Heinrich Schliemann, della descrizione della maschera d'oro di Agamennone rinvenuta in una tomba micenea. 

Tra essere e divenire, tra eternità dei testi classici e riproducibilità tecnica dell'opera d'arte si muove il lavoro della compagnia Anagoor che ancora restituisce la classicità con complessi giochi di proiezioni, che qui comprendono un grande schermo e due piccoli, sospesi, in cui, in alcune scene, i personaggi vengono doppiati nelle loro immagini e dialogano come un campo controcampo cinematografico. La tecnica permette, o dà l'illusione, della riproducibilità dell'arte classica, del suo perpetuarsi ormai anche annullando le bandiere dello spazio, oltre a quelle del tempo. E lo spettacolo culmina nella statua scannerizzata, che viene riprodotta con una stampante 3D.

Con Orestea. Agamennone, Schiavi, Conversio la compagnia Anagoor realizza la sua opera ambiziosa, che necessità però di maggior compattezza. Si ha un'impressione di farraginosità, assente negli altri lavori del gruppo, di difficoltà a contenere e organizzare la gran quantità di materiale impiegato.
  • @Giulio Favotto
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