sull’Orestea di Eschilo
drammaturgia Simone Derai, Patrizia Vercesi
traduzione dal greco Patrizia Vercesi, Simone Derai
orizzonte di pensiero e parola S. Quinzio, E. Severino, S. Givone, W.G. Sebald, G. Leopardi, A. Ernaux, H. Broch, P. Virgilio Marone, H. Arendt, G. Mazzoni
con Marco Ciccullo, Sebastiano Filocamo, Leda Kreider, Marco Menegoni, Gayané Movsisyan, Giorgia Ohanesian Nardin, Eliza G. Oanca, Benedetto Patruno, Piero Ramella, Massimo Simonetto, Valerio Sirnå, Monica Tonietto, Annapaola Trevenzuoli
voce del messaggero Pierdomenico Simone
danza Giorgia Ohanesian Nardin
musica e sound design Mauro Martinuz
assistente al suono Ludovico Dal Ponte
esecuzioni al pianoforte di Kindertotenlieder n.1 di Gustav Mahler Massimo Somenzi
scene e costumi Simone Derai
realizzazione costumi Serena Bussolaro, Christian Minotto
accessori Christian Minotto, Massimo Simonetto, Silvia Bragagnolo
scultura mobile Istvan Zimmermann e Giovanna Amoroso – Plastikart Studio
video Simone Derai, Giulio Favotto
video / riprese, direzione della fotografia, post-produzione Giulio Favotto
video / concept, editing, regia Simone Derai
light design Fabio Sajiz
assistenza tecnica Mattia Dal Bianco
assistente al progetto Marco Menegoni
assistente alla regia Massimo Simonetto
regia Simone Derai
coordinamento organizzativo Annalisa Grisi
management e promozione Michele Mele
produzione Anagoor 2018
con il sostegno di Fondation d’entreprise Hermès nell’ambito del programma New Settings
coproduzione Centrale Fies, Teatro Metastasio di Prato, TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro Stabile del Veneto
con la partecipazione di Theater an der Ruhr
con il sostegno della Compagnia di San Paolo
sponsor tecnici Lanificio Paoletti, Printmateria, 3DZ
si ringrazia Ministero della Cultura e dello Sport della Repubblica Greca, Museo Archeologico di Olimpia, Istituto Italiano di Cultura di Atene, Lottozero / textile laboratories
Durata: 240'
In scena al Teatro Strehler dal 13 al 16 novembre
Il lavoro della compagnia Anagoor restituisce una densissima stratificazione di suggestioni e riflessioni che proprio da questo senso di non essere eschiliano della morte partono e convergono. Il mattatoio e l'agnello bianco eviscerato, equivalenti 'edulcorati', odierni del teatro di Hermann Nitsch. E poi i Canti per i bambini morti di Gustav Mahler e Friedrich Rückert, ancora Socrate con la sua ultima frase, del gallo a Esculapio, suggestioni da Sergio Quinzio, dallo stesso Severino, da Sergio Givone, Giacomo Leopardi, Annie Ernaux, Hermann Broch, Virgilio, Hannah Arendt, Guido Mazzoni, Winfried Georg Sebald. Da quest'ultimo autore viene messo in scena un lungo brano del suo Le Alpi nel mare, riflettendo del concetto di sepoltura, come un contratto giuridico di inalienabilità, sui riti funebri della Corsica ottocentesca. Compare a un certo punto della storia la fotografia, del defunto da apporre sulle lapidi, come una lastra per fissare un'aurea spettrale, come tentativo di immortalità, di sconfiggere il niente in cui si dovrà ricadere. Sono proprio le necropoli del passato a fornire i reperti archeologici, le testimonianze per il futuro, come nella citazione – nel catalogo della Biennale – del taccuino di Heinrich Schliemann, della descrizione della maschera d'oro di Agamennone rinvenuta in una tomba micenea.
Tra essere e divenire, tra eternità dei testi classici e riproducibilità tecnica dell'opera d'arte si muove il lavoro della compagnia Anagoor che ancora restituisce la classicità con complessi giochi di proiezioni, che qui comprendono un grande schermo e due piccoli, sospesi, in cui, in alcune scene, i personaggi vengono doppiati nelle loro immagini e dialogano come un campo controcampo cinematografico. La tecnica permette, o dà l'illusione, della riproducibilità dell'arte classica, del suo perpetuarsi ormai anche annullando le bandiere dello spazio, oltre a quelle del tempo. E lo spettacolo culmina nella statua scannerizzata, che viene riprodotta con una stampante 3D.
Con Orestea. Agamennone, Schiavi, Conversio la compagnia Anagoor realizza la sua opera ambiziosa, che necessità però di maggior compattezza. Si ha un'impressione di farraginosità, assente negli altri lavori del gruppo, di difficoltà a contenere e organizzare la gran quantità di materiale impiegato.
@Giulio Favotto