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Mamma a carico - Mia figlia ha novant'anni
a cura di Giampiero Raganelli
Visto al Teatro Linguaggicreativi il 18/11/2017
di e con Gianna Coletti / Drammaturgia di Gianna Coletti e Gabriele Scotti / Regia di Gabriele Scotti / Scenografia e costumi di Erika Carretta / Luci e allestimento di Salvo Manganaro / Fotografia e grafica di Sergio Bertani / Con estratti del film “Tra cinque minuti in scena”, regia Laura Chiossone, produzione RossoFilm e MareMosso
Hitchcock diceva che il cinema è come la vita una volta tolte le parti inutili. Le nostre vite comuni in realtà possono contenere tanti elementi drammaturgici, cui si può attingere come da Shakespeare. Momenti di commedia, momenti tristi e drammatici, come fronteggiare una malattia. E il teatro si può far carico di raccogliere queste drammaturgie di vita. Pensiamo al monologo di Pippo Delbono sulla sua sieropositività, in Racconti di giugno, o quello di Chiara Stoppa sulla sua malattia in Il ritratto della salute. Il teatro come messa in scena di sé, come catarsi. 

Appartiene a questo 'filone' anche Mamma a carico, il monologo di Gianna Coletti, per la regia di Gabriele Scotti, sugli ultimi anni di vita della madre, molto anziana, in condizioni di salute precarie e di non autosufficienza. Per la verità la definizione di monologo può apparire impropria. In scena infatti è ancora fortissima la presenza di Anna Coletti, la mamma di Gianna. L'avevamo conosciuta già nel film Tra cinque minuti in scena e poi la sua figura si è materializzata in un libro e ora in uno spettacolo teatrale. Gianna Coletti sta portando avanti il racconto della sua storia, che è quella della senilità che è un ritorno all'infanzia, dell'inversione del rapporto genitore-figlio, della restituzione dell'accudimento, in tutta la sua tenerezza, a chi ci ha allevati da bambini. `Mamma a carico`, `Mia figlia ha novant'anni` sono le espressioni che Gianna usa per raccontare questa condizione. 

Gianna Coletti è un'attrice che potremmo definire 'classica', con una studiata impostazione della voce, per esempio, formatasi attorno alla figura di Piero Mazzarella. Il suo curriculum vede collaborazioni con nomi importanti del teatro e pure una carriera televisiva, su cui lei stessa ironizza nello spettacolo raccontando della sua collisione con Pippo Baudo. Qui, con Gabriele Scotti, lavora invece nel teatro povero, nello spazio vuoto, senza scenografie, con pochi oggetti di scena, un video, che si chiude con l'apertura della bara che faceva già parte della pedana. In questo modo può palesarsi in scena la figura della `maméta`, con la forza di evocazione del teatro. Gianna interpreta Anna, dialoga in scena con lei, e ancora la vediamo negli spezzoni del film, e nelle vecchie fotografie. Lo spettacolo è anche un affresco di una vecchia Milano, che ci pare di vedere ancora per semplice evocazione nei suoi luoghi tipici, come le case di ringhiera, con quella parlata dialettale che si sta estinguendo.

 Il lavoro di Gianna Coletti su sua madre funziona ed è di grande intensità proprio per la sua disarmante sincerità. La storia di Anna e Gianna è qualcosa che la vita può riservare a tutti, è vera anche perché universale. E qui, rispetto al film, non nasconde i momenti più privati, scatologici, ancora come un ritorno alla semplicità dell'infanzia e per comunicare un senso di intimità. Gianna attinge alla drammaturgia della vita, mettendo in scena sì un dramma ma anche una commedia, restituendo anche quegli aspetti buffi che la vita ci può presentare anche nelle situazioni estreme.
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