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Le scene di ordinaria follia di Gérard Watkins
a cura di Roberto Canavesi
Visto alla Galleria Franco Noero di Torino mercoledì 22 gennaio 2020
di Gérard Watkins; traduzione Monica Capuani 

con Roberto Corradino, Clio Cipolletta, Aron Tewelde, Annamaria Troisi, Elena Serra;

regia Elena Serra; spazio scenico Jacopo Valsania; progetto sonoro Alessio Foglia 

Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Teatro di Dioniso / PAV con il supporto della Fondazione Nuovi Mecenati – fondazione franco-italiana di sostegno alla creazione contemporanea nell'ambito di Fabulamundi Playwriting Europe – Beyond Borders
Scene di violenza coniugale. Atto finale: mai titolo fu più adatto come nel caso dell’incalzante copione di Gérard Watkins per la prima volta in scena in Italia nell'allestimento diretto da Elena Serra. 

Se il tema dello spettacolo è presto inteso, la violenza di genere con particolare attenzione alle dinamiche relazionali tra uomo e donna, tra carnefice e vittima, è sulla dicitura "atto finale" che si concentra l’attenzione dello spettatore fatto accomodare ai lati dello spazio scenico: il racconto delle due coppie protagoniste, Pascal/Annie e Liam/Rachida, non è tanto il resoconto di un ménage sofferto e tormentato, quanto un itinerario di violenza psicologica e fisica che come un morbo invisibile lentamente si insinua negli uomini per poi esplodere con modalità assurde ed inspiegabili.

Come in un incontro di pugilato sulla lunga durata, Elena Serra costruisce il ring in un ambiente privo di orpelli, elegante salone dai pregevoli stucchi al cui interno si combattono i diversi round di una vita di coppia nata per caso, poi sognata ed idealizzata, da ultimo tragicamente vissuta: cento minuti filati in un crescendo di soprusi nati da gesti insignificanti, da una parola detta e forse mal compresa, da una differenza culturale che porta uomini e donne a vivere su piani diversi. La scrittura di Watkins, messa da parte ogni volontà di astrazione temporale, si concentra sull'oggi immaginando Rachida come una giovane musulmana francese, algerina di nascita, desiderosa di affrancarsi dall'opprimente clima famigliare al pari di Liam, bullo di provincia pronto a sbarcare a Parigi con il suo carico di inquietudini ed ombre adolescenziali. Ed ancora l’austero Pascal, fotografo di indubbio fascino e carisma, e la sua vittima Annie, donna dal difficile passato che cerca a fatica un lavoro in città per riunire le figlie ora affidate ai nonni in campagna: quattro caratteri diversi che definiscono equilibri sempre più fragili fino a quando Rachida ed Annie non decidono di uscire dal loro cono d’ombra, cercando di far valere il sacrosanto diritto alla vita.

Con il passare dei minuti prende forma una spirale di crescente tensione dove il disegno registico asseconda il duro ma inevitabile fluire del testo che conduce dritti all'atto finale, a quel punto di non ritorno in cui occhi tumefatti si aprono per denunciare al mondo, leggasi spettatore, le inaccettabili violenze consumate tra le mura domestiche. La palla passa così al pubblico, a uomini e donne seduti a poca distanza dagli interpreti, cui è affidato il compito di non chiudere gli occhi o tapparsi le orecchie, semmai farsi portavoce nella denuncia di quella cultura dell’odio di fronte alla quale, in qualsiasi parte del mondo, testimonianza diretta e necessario coraggio possono rappresentare solide ancore di salvezza.

Da ultimo, più di una semplice citazione meritano Roberto Corradino, Clio Cipolletta, Aron Tewelde ed Annamaria Troisi, applauditi interpreti che senza oltrepassare la misura di una recitazione eccessiva al meglio ritraggono i confini di un’umanità, prossima al collasso, di cui diventano intense e sofferte maschere. 
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