Spaziando tra consolidati luoghi comuni e disarmanti ritratti rivivono una dopo l'altra alcune delle pagine più caustiche dello scrittore e sceneggiatore romano, autore capace di parlare dell'oggi con uno stile condito da feroce ironia mista a spiazzante cinismo: lo scaricabarile come modus vivendi al pari della ricerca di maschere sociali da indossare, il desiderio di cibo come atavica pulsione o l'istinto ad architettare mondi dalle illusorie fondamenta dove poi rifugiarsi. È un'umanità grottesca quella che abita le pagine di Mattia Torre, uomini e donne, giovani e meno giovani, che la maschera semiseria di Valerio Aprea ritrae con inquietante realismo per riaffermare la convinzione di aver perso troppo presto una penna capace di mescolare grottesco e tragedia senza mai cedere al banale, semmai sbattendo in faccia con incredibile lucidità al lettore/spettatore tutto quanto è reale.
La seconda incursione festivaliera si è vissuta con la Mini cena che Chiara Cardea e Chiara Vallini confezionano per due spettatori alla volta nei suggestivi ambienti de La Falegnameria, interno cortile in pieno centro città già in passato sede di performance targate Play with food: in un luogo fuori dal tempo e dall'evidente sapore vintage, la serata ha inizio in una prima sala dove la coppia di ospiti è invitata a passare in rassegna oggetti ciascuno depositario di memorie e ricordi. Una galleria antiquaria che il visitatore vive a modo proprio trovando collegamenti tra il singolo oggetto ed un proprio cassetto della memoria: dopo alcuni minuti si è poi condotti nella sala a fianco, illuminata da una penombra simile al buio, che vede le due Chiara di nero vestite accogliere la coppia di commensali per l'esplorazione del luogo, per poi sedersi ad un minuscolo tavolo dove consumare il mini spuntino.
La dimensione dell'incontro, durata totale mezz'ora scarsa, è quella di una fiaba, con musica in sottofondo, luci molto soffuse, attrici che disegnano danze eteree nello spazio: il tutto assume i contorni di un'esperienza sensoriale e visiva in grado di proiettare in una dimensione altra, regalando visioni, profumi e sensazioni di un mondo che non c’è più.
Un numero decisamente maggiori di coperti è invece quello che riempie la sala delle Fonderie Ozanam nei cui spazi abbiamo assistito a Saga salsa, divertente serata dedicata al nettare di pomodoro con le tre interpreti del collettivo Qui e Ora Residenza Teatrale guidare una quarantina di spettatori nel viaggio raccontato da tre differenti generazioni al femminile: alternando narrazione alla degustazione delle pietanze servite, novanta minuti per una serata che ha nella nonna, nella madre e nella figlia un po' ribelle le voci di un'Italia in trasformazione "riassaporata" in una cena spettacolo dall'atmosfera leggera e disincantata.
Se la linea guida da cui mai allontanarsi è la preparazione della magica salsa di pomodoro, l'attività in cucina diventa pretesto per riferire di amori passati e passioni recenti, di antiche abitudini che riconciliano con una tradizione popolare ormai dimenticata: un gioco culinario con le attrici interagire insieme al pubblico, scherzando su intolleranze ed abitudini a tavola, alternando il racconto a momenti di improvvisazione per dar vita a sketch o improvvisati valzer con il pubblico.
La quarta ed ultima serata vissuta a Play with food, edizione 2024, ha coinciso con l’evento forse più atteso dell'intero programma, la prima nazionale del nuovo spettacolo del bolognese Teatro delle Ariette dal titolo Noi siamo un minestrone [Imagine">: ensemble che sul rapporto tra scena e cibo ha costruito la sua lunga ed apprezzata carriera artistica, Paola Berselli e Stefano Pasquini sono ideatori ed interpreti di una performance poetica ed intimista in cui la preparazione del gustoso minestrone, poi consumato con il pane realizzato poche ore prima, è il pretesto per un viaggio nella memoria degli interpreti, artisti ma soprattutto inseparabili compagni di vita.
L'elegante sala teatrale di Casa Luft è lo spazio per ospitare una quarantina di persone fatte accomodare ai lati di un ambiente scenico quadrato al cui centro troviamo pentoloni, bassi tavoli imbanditi, sgabelli, suppellettili varie: è in questa cornice che prende forma il rito delle Ariette, cronaca di un lungo pezzo di vita trascorso insieme, tra campagna bolognese e decine di spazi più o meno teatrali, a costruire percorsi sul cibo ma anche sull'amore e sul teatro, sulla felicità e sulle difficoltà che la vita sbatte all’improvviso in faccia.
Il pubblico, dapprima incuriosito e timoroso poi sempre più coinvolto, diventa preziosa tessera nella costruzione di uno mosaico le cui immagini sono istantanee di vita da rivivere con in sottofondo la colonna sonora dei grandi classici della musica di tutti i tempi: ed il minestrone, ci si chiederà, cosa c'entra in tutto questo? Proprio come le colorate e profumate verdure sono destinate ad incontrarsi e mescolarsi così anche noi, uomini e donne, giovani e meno giovani, sacerdoti del rito scenico metteremo a fattor comune il nostro vissuto: troveremo cosi nel teatro l'ideale sintesi tra arte e vita, vivendo tutti insieme la serata con le Ariette come esperienza di incontro collettivo dove riscoprire sapori, profumi e, da ultimo, rileggendo pagine di vita vissuta.
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