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COSE CHE SO ESSER VERE per sopravvivere alle sabbie mobili dell'ingranaggio famiglia
a cura di Roberto Canavesi
Visto al Teatro Carignano di Torino giovedì 10 ottobre 2014
di Andrew Bovell

traduzione Micol Jalla: regia Valerio Binasco

con Giuliana De Sio, Valerio Binasco e (in ordine alfabetico) Fabrizio Costella, Giovanni Drago, Giordana Faggiano, Stefania Medri 

scene e luci Nicolas Bovey; costumi Alessio Rosati; suono Filippo Conti

Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale

Cose che so essere vere è stato prodotto per la prima volta dalla State Theatre Company of South Australia e da Frantic Assembly nel 2016.
In accordo con Arcadia & Ricono Ltd per gentile concessione di HLA Management Pty Ltd con il sostegno di Fondazione CRT
Non che ne potessimo dubitare ma anche il teatro nelle ultime stagioni ha certificato, in non pochi spettacoli, che le famiglie del Mulino Bianco esistono solo nell'ovattato mondo del marketing e della pubblicità: l'ennesima conferma la si ha assistendo a Cose che so essere vere, dark comedy dell'australiano Andrew Bovell, già noto in Italia per il successo di When the rain stops falling diretto da Lisa Ferlazzo Natoli, inaugurazione firmata Teatro Stabile di Torino della stagione 2024/25 con una prima nazionale sapientemente diretta dalla regia di Valerio Binasco.

Ritratto spietato di una famiglia come tante altre, Bovell fotografa in impietose istantanee l'esistenza di Bob, Fran e dei loro quattro tormentati figli, Pip, Mark, Ben e Rosie: è proprio quest'ultima, la più giovane e coccolata, con il suo inaspettato rientro da un viaggio in Europa che tanto sa di fuga verso l'ignoto, a far saltare equilibri fragili quanto già compromessi, con il più classico degli effetti domino travolgere sorella, fratelli e da ultimo genitori. Se infatti Pip si scopre creatura infelice decisa a sfidare tutto e tutti abbandonando marito e figli, per trasferirsi in Canada da chi le ha fatto scoprire il vero amore, Mark con gran fatica confessa di aver intrapreso un percorso di transizione che lo porterà a rinascere nell'identità di Mia. Ed ancora Ben, laureato a pieni voti e immerso nel lavoro, dichiara senza mezzi termini di aver sottratto soldi a decine di clienti, sprofondando i genitori in un vero e proprio inferno domestico: lato loro, Bob è un padre fragile e condiscendente, "democristiano" per carattere, cui non si devono toccare le amate piante né anche solo immaginare trattamenti diversi per i quattro figli, mentre Fran è consorte dall'indole più complessa, madre-padrona in una casa che comanda a bacchetta, salvo poi non riuscire a staccarsi dal lavoro di infermiera sempre vissuto come valvola di sfogo di evidenti tensioni famigliari.

In un contesto che lascia molto poco spazio all'immaginazione, attraverso il più classico dei flashback, prende forma un racconto in cui l'amore è presentato nelle sue molteplici sfaccettature: tra maturi coniugi o verso i figli, per sé stessi o nei confronti di una vita anche solo idealizzata dove la cura di un giardino sembra essere la missione del quotidiano. È una cascata di amore ad invadere il palco da prospettive diverse proprio come diversa è la visuale dello spettatore al quale, in un'ottica molto cinematografica, il racconto si offre ruotando di continuo sulla scena girevole di Nicolas Bovey, ring con le fattezze di interno borghese dove regna la quotidianità, un divano o un ferro da stiro, un tavolo o qualche sedia.

Tanto amore ma anche, inevitabile rovescio della medaglia, un'atavica disperazione che investe i personaggi, uomini e donne, giovani e meno giovani: seconda pelle da cui ci si vuole con fatica liberare, ciascuno a suo modo, sottraendosi a dinamiche familiari che stritolano, salvo poi trovarsi prigionieri nelle sabbie mobili di una vita in cui si sprofonda senza intravedere speranza di uscita. E proprio in questo aspetto risiede il maggior pregio di un'operazione edificata su di un testo sorprendente per la capacità di mettere a fuoco con disarmante lucidità i rapporti generazionali, spogliando genitori e figli di inutili orpelli per offrili al pubblico vestiti solo delle loro vulnerabilità, paure, debolezze.

Nella pregevole traduzione di Micol Jalla, lingua attenta a restituirci le atmosfere del quotidiano senza mai cedere ad una deriva gergale, è la vita vera ad urlare disperatamente dalla scena: e lo fa affidandosi ad un gruppo di magnifici interpreti guidato dalla Fran di Giuliana De Sio, madre dalla rara sensibilità nell'intercettare i disagi dei figli ma anche moglie prigioniera di un ménage coniugale, da cui in passato non ha avuto la forza di allontanarsi, e che ora cerca di esorcizzare rifugiandosi fino alle estreme conseguenze nel lavoro. Insieme a lei Valerio Binasco è un Bob a tratti commovente per sensibilità, del tutto dedito alla cura del suo giardino ed incapace di spostare anche di un solo centimetro gli equilibri di una bilancia affettiva inossidabile compagna per tutta la vita.
Non di meno eccellenti i quattro figli con Giordana Faggiano armoniosa maschera di affettività, tra tutti forse l'unico personaggio a non avere sovrastrutture, cui Bovell affida il ruolo di prologo ed epilogo, o la Pip di Stefania Medri decisa con fermezza, e contro il parere di tutti, a svoltare abbandonando marito e figli per vivere un nuovo amore dall'altra parte del mondo. Ed ancora, se Giovanni Drago è il consapevole e coraggioso Mark pronto a diventare Mia, Fabrizio Costella è un eccellente Ben dalla disarmante fragilità.

Cose che so essere vere, salutato da lunghi e meritati applausi, è testo dinamico di assoluta modernità, in perenne bilico tra un presente da intendersi come consolidamento delle radici famigliari e un futuro tutto da scrivere assecondando passioni ed istinti: spiazzante esempio di scrittura teatrale in cui, con buona pace di critici e detrattori, si ritrova il gusto del racconto, di una narrazione non solo successione di eventi, semmai spietata analisi delle infinite variazioni di quell'infelicità umana che porta a più riprese i personaggi interrogarsi, ed interrogarci, con la domanda ritornello "c’è qualcosa che non va?".
  • Cose che so essere vere©Photo Virginia Mingolla.jpg
    Cose che so essere vere©Photo Virginia Mingolla.jpg
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