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Lotte famigliari e guerre tra popoli abitano il mondo di IFIGENIA ed ORESTE
a cura di Roberto Canavesi
Visto alle Fonderie Limone di Moncalieri domenica 29 maggio 2022
di Euripide

con (in ordine alfabetico) Giovanni Anzaldo, Sara Bertelà, Valerio Binasco, Giovanni Calcagno, Giovanni Drago, Giordana Faggiano, Jurij Ferrini, Nicola Pannelli, Letizia Russo, Arianna Scommegna 

regia Valerio Binasco;  scene e luci Nicolas Bovey; costumi Alessio Rosati; musiche Paolo Spaccamonti; assistente regia Giulia Odetto; assistente drammaturgia Micol Jalla; assistente costumi Agnese Rabatti 

Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
Rileggere oggi il mito è impresa stimolante quanto pericolosa per i rischi conseguenti al processo di attualizzazione fuori dal tempo e dallo spazio: sfida che il Teatro Stabile di Torino ha scelto di accollarsi nel dittico euripideo Ifigenia ed Oreste, presentato in settimana a sere alterne, nei week end in forma di maratona, affidato alle sapienti mani registiche di Valerio Binasco.
L’indagine del regista alessandrino si realizza in uno spazio neutro svuotato da ogni orpello scenografico dove il pubblico è disposto ai lati di un lungo corridoio che vede gli interpreti muoversi nervosamente in preda ai deliri delle loro tormentate esistenze: se nella prima parte a rivivere è la saga della figlia di Agamennone con Ifigenia sgozzata per decisione del padre, timoroso di compromettere la proprie fortune belliche, e caricata di brutto nel bagagliaio di un auto rigorosamente green, a seguire ci si imbatte nel tragico destino di Oreste ed Elettra, sanguinari fratelli freschi di matricidio decisi a vendicare il nome del padre Agamennone caduto sotto i colpi di Clitemnestra ed Egisto. La storia di un padre incapace di adempiere al suo ruolo genitoriale cui segue il racconto di una generazione filiale che, alla stregua di moderni terroristi, si macchia di delitti non meno efferati e sanguinari. 

Fin qui la sintesi di un racconto agito con estrema cura ed immaginato attorno all’idea di famiglia, microcosmo sociale che Binasco ed i suoi eccellenti attori sezionano con approccio autoptico, facendo emergere alcune tra le più inspiegabili pulsioni dell’animo umano che rendono il mito parente assai prossimo delle deformazioni contemporanee: se Ifigenia è scandita da lunghi monologhi o dialoghi a due in cui Agamennone/Menelao prima, Agamennone/Clitemnestra ed Agamennone/Ifigenia poi, si sfidano a colpi di parole, Oreste è dramma più corale e raccolto spazialmente concentrato in un cerchio di sabbia a delimitare il solitario rifugio dei fratelli assassini il cui destino, unico voluto tradimento interpretativo, non sarà il classico deus ex macchina, ma si risolverà in un ultimo, estremo, atto di sangue.

Mito e famiglia, istituzioni vicine ma anche in antitesi, che risplendono in un allestimento antropocentrico, dove colpisce l’assenza del divino in ogni sua forma, e risalta quella di un uomo nudo nella sua cieca e spietata fragilità di creatura pronta ad anteporre le ragioni del potere a quelle del cuore: tutto ciò è riferito in scena da un cast di livello, a partire dall’Agamennone in giacca e cravatta di Valerio Binasco, generale più che padre che nel dilemma tra onore ed amore poco impiega a fare l’estrema scelta, suscitando le "ire funeste" dell’antieroico Achille di Giovanni Calcagno e il dolore dell’elegantissima Clitemnestra di Ariannna Scommegna, madre amorosa intenta a preparare le presunte nozze della figlia, e subito dopo genitore straziato dal tragico destino a lei riservato. 
Padre e madre su posizioni opposte per la sorte della giovane Ifigenia che Giordana Faggiano ritrae con candore adolescenziale misto a quel coraggio diventata sete di vendetta una volta vestiti i panni di Elettra: sarà lei, giovane donna che alle parole preferisce l’azione, a sostituirsi con movenze da killer al fratello Oreste che Giovanni Drago connota come creatura beluina in preda ai tormenti delle Erinni. E se di famiglia si parla, di famiglia allargata si tratta, con fratelli ed anziani nonni coinvolti in dispute verbali che tanto sanno di dialoghi tra sordi: è il caso nella prima parte dello scontro tra Agamennone e il Menelao di Jurij Ferrini, al solito impeccabile anche nell’umanissimo e straziante ruolo di Tindaro, anziano nonno al cospetto di due nipoti dalle mani insanguinate che, con il Pilade di Giovanni Anzaldo, urleranno in faccia al canuto Menelao di Nicola Pannelli le proprie ragioni. Lo faranno non solo a parole ma, dopo aver infierito su Clitemnestra ed Egisto, si accaniranno sulla Elena di Sara Bertelà, considerata l’origine di tutti i mali, senza da ultimo risparmiare la di lei figlia Ermione di Letizia Russo.

Ifigenia ed Oreste, recto e verso della stessa medaglia in una lettura che tratta il mito come fluire di istinti dell’anima destinati a sciogliersi in fiumi di sangue che, non senza sgomento per lo spettatore di oggi, rende tutti i personaggi impietosamente contemporanei nella loro feroce umanità. 
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