con Daria Deflorian, Federica Fracassi, Cecilia Bertozzi, Fulvio Pepe, Enrica Origo, Caterina Tieghi, Fabrizio Costella
regia e scene Stéphane Braunschweig; costumi e collaborazione alle scene Lisetta Buccellato; luci Marion Hewlett; suono Filippo Conti; assistente regia Giulia Odetto
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
Non ha tempo Donn’Anna Luna per gioire dell’atteso ritorno di Fulvio, figliol prodigo rientrato a casa dopo anni di assenza, e non può farlo perché un atroce destino lo farà morire nel suo letto d’infanzia poche ore dopo: ignorati riti e consuetudini funebri, la donna sceglie di non vestire la salma ma di farla in fretta rimuovere avvolta in un lenzuolo bianco, salvo poi convincere se stessa e gli altri che quel cadavere in realtà non esista in quanto il figlio, a suo tempo andato via inseguendo la chimera della passione per una donna già sposata e madre di due bambini, non esiste più, è idealmente morto da tempo, e quindi il terribile lutto del presente non si può né si deve celebrare. Lucida razionalità o disperata recita nell’ennesima versione della pazzia tanto cara a Pirandello? Quale che sia la risposta, nella sua grottesca architettura il gioco sembra reggere fino a quando non arriva Lucia, la giovane amante cui nessuno intende raccontare l’atroce verità: e se anche lei in realtà è depositaria di un segreto, la scoperta di portare in grembo il frutto del grande amore con Fulvio, una volta appresa la tragica realtà non avrà altra scelta se non quella di rifiutarla, ipotizzando un allontanamento volontario nella speranza che la manlevi dall’obbligo di ritornare alla mai accettata condizione di moglie e madre.
Tragedia scritta nel 1923 per Eleonora Duse, ma dalla "divina" mai interpretata, La vita che ti diedi rivive in un allestimento asciutto e compatto che denota da parte del regista francese l’assoluta conoscenza e padronanza delle dinamiche sottostanti il teatro pirandelliano: ambientando il racconto in un algido interno con letto, armadio e scrivania, Braunschweig gioca sui contrasti tra vuoto e pieno, tra enormi stanze dell’infanzia con pochi arredi e vite improvvisamente riempite quanto subito svuotate di presenze fisiche e senso dell’esistenza. Assecondando una visione prossima al cinismo, la lezione pirandelliana potrebbe riassumersi nell’affermazione del terreno sul metafisico, nella consapevolezza che ad ogni partenza, temporanea come definitiva, corrisponda una sorta di morte civile destinata ad azzerare la componente umana di chi si allontana anche nel caso un ipotetico ritorno che porterebbe ad avere a che fare con una persona diversa, un’entità altra.
L’esito finale sono novanta minuti compatti depauperati dei fronzoli e degli orpelli cui spesso oggi si ricorre nel tentativo di "ringiovanire" copioni datati, salvo poi tradirne ed alterarne l’originale identità: rischio calcolato ed affrontato con coraggio anche grazie ad un pregevole cast dove Daria Deflorian è madre dalla tragica umanità al cospetto di un dolore più grande di lei, mentre la non meno brava Cecilia Bertozzi è l’addolorata Lucia su cui il destino si accanisce con cieca violenza. E se Federica Fracassi e Fulvio Pepe ben si giostrano in doppi ruoli ora più lievi, ora più austeri, Enrica Origo, Fabrizio Costella e Caterina Tieghi contribuiscono al successo di una squadra ripagata da convinti e meritati applausi finali.
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