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Nachlass. Pièces sans personnes
a cura di Giampiero Raganelli
Visto al Teatro Studio Melato il 10/01/2018
ideazione di Stefan Kaegi / Dominic Huber (Rimini Protokoll) 
video Bruno Deville 
drammaturgia Katja Hagedorn 
suono Frédéric Morier 
assistenti alla progettazione Magali Tosato, Déborah Helle (stagista) 
assistenti alla scenografia Clio Van Aerde, Marine Brosse (stagista) 
ideazione tecnica e costruzione scene: Workshop Théâtre Vidy-Lausanne
produzione Théâtre Vidy-Lausanne
Durata: 90' circa
Dal 10 al 20 gennaio 2018
La morte come punto focale dell'arte e al tempo stesso l'arte che può garantire l'immortalità agli artisti o ai personaggi che ritrae. Attorno a queste coordinate si muove lo spettacolo Nachlass. Pièces sans personnes del collettivo berlinese Rimini Protokoll di Stefan Kaegi e Dominic Huber

Fronteggiare la morte, sbatterla in faccia, metterla a contatto con gli spettatori: è un lavoro che ha sempre portato avanti la compagnia. Già in Remote Milano, si veniva invitati a scegliere una lapide del Cimitero Monumentale, e a soffermarsi su di essa, osservare, contemplare il volto del defunto e si terminava il percorso nell'ospedale dove la voce in cuffia si interrogava su chi per primo avrebbe potuto contrarre un cancro al cervello (la morte in chiave statistica che torna anche in questo lavoro).

Con Nachlass i Rimini Protokoll ancora una volta oscillano tra la dimensione privata e quella globale. La seconda è rappresentata da uno schermo sul soffitto con un display che indica quante persone al mondo stanno in questo momento cessando di vivere. La convivialità è la prosecuzione del precedente lavoro, Europa a domicilio, dove si era ospitati in case private, accolti dai padroni di casa, trascorrendo una serata ai giochi di ruolo. In questo caso si è ospiti in otto stanze diverse, ricevuti da voci registrate, diffuse in vario modo, da altoparlanti, video o schermi neri, che invitano ad accomodarsi e a vedere, toccare gli oggetti nella stanza. Tra le persone che ci parlano, alcune sono probabilmente già morte, ad altre non rimarrà molto da vivere e altre ancora semplicemente stanno già organizzando il proprio decesso. Sono persone accomunate dall'esigenza di lasciare un lascito che viene raccolto dalla compagnia e trasmesso agli spettatori. Lo dicono loro stessi, in audio registrati, raccolti nel corso di una malattia incurabile o prima di un suicidio assistito. 

La morte implacabile è un dato statistico, quindi asettico e deprivato di ogni connotazione drammatica, ma anche un'occasione per raccontare storie di vita. E gli oggetti che accumuliamo durante la nostra esistenza, che rimarranno anche dopo di noi, sono come la testimonianza e il proseguimento di ciò che abbiamo fatto. Così la signora francese che si è occupata di cooperazione allo sviluppo in Africa ci invita ad aprire le sue scatole contenenti oggetti d'artigianato provenienti da vari paesi o i faldoni dei suoi progetti. O il signore amante della pesca che ci esorta ad aprire i cassetti della sua stanza da letto, con tutte le sue esche a mosca, raccomandandoci poi di chiuderli prima di uscire. Va da sè che tutto deve essere assolutamente vero, le voci quelle autentiche delle persone, nemmeno recitate da attori, e gli oggetti e arredamenti quelli originali. Nessuna nota dello spettacolo lo dice espressamente ma non può che essere così. Rientra in una verità e sincerita che sono palpabili. Non c'è cinismo, morbosità e nemmeno pietismo in questo lavoro, che trasmette delicatamente, al contrario, sensazioni di serenità.

Le installazioni sono originali e creative. Come i due schermi che indicano i due coniugi alla scrivania del loro ufficio, o il video sul pavimento in cui seguire il percorso in montagna, una soggettiva rivolta verso il terreno, di un 'jumper' che si avvicina al salto. Per arrivare alla stanza bianca, da astronave, dove ci si siede davanti a una via di mezzo tra monitor fantascientifici e le macchine per le fototessere, in cui un neuroscienziato spiega come la demenza senile costituisca un principio di morte.

Come sempre nei Rimini Protokoll, è un meccanismo tecnologico a regolare il flusso degli spettatori, un countdown in display sopra ogni porta che indica il tempo mancante alla sua apertura e il tempo concesso per il ricambio degli ospiti. E il pubblico può così comporre il proprio percorso.

I Rimini Protokoll operano ancora una volta uno smembramento totale dei codici del teatro, ma nella sua dissoluzione, si torna ai meccanismi puri e primigeni della narrazione orale.
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