Acclamata pellicola uscita in Italia nel lontano 1998, Festen rivive ora nell’adattamento teatrale, firmato a quattro mani da Marco Lorenzi e Lorenzo De Iacovo, in prima assoluta nella stagione del Teatro Astra di Torino per una settimana di repliche prima delle date programmate a Trieste, Parma e Milano: con il regista Marco Lorenzi, guida del collettivo torinese Il Mulino di Amleto, andiamo alla scoperta di un progetto, nato nei mesi dei teatri chiusi, ormai pronto ad incontrare il pubblico.
Quello che oggi è un’attesa versione teatrale, nell’originario adattamento di David Eldridge, in origine è un non meno acclamato film di successo: quale il tipo di lavoro che insieme a Lorenzo De Iacovo ed Anne Hirth hai realizzato per rendere viva sul palco una materia non pensata per il teatro?
"Le potenzialità teatrali di Festen, film molto amato e che mi ha da subito teatralmente incuriosito, sono gigantesche non tanto per l’apparente dramma borghese nascosto dietro la vicenda (lo stesso riconosciuto debito ibseniano e bergmaniano non ne rappresenta la forza principale) ma per essere un lavoro completamente antinaturalista: è un film per cosi dire archetipico molto più di quanto a prima vista ci si possa aspettare. Il teatro ha per assurdo la possibilità di far emergere, con il necessario spirito eversivo, quella dimensione rituale e metaforica, l’aspetto favolistico che giocoforza nel film si percepisce di meno sul quale insieme a Lorenzo ed Hanne abbiamo lavorato con attenzione: una selva oscura già presente nella sceneggiatura originale ma, nel caso di una trasposizione scenica, da seguire e leggere con ermeneutica vigorosa attraverso un continuo giuoco di decodificazione dei simboli presenti nel testo".
Il sottotitolo dello spettacolo, il gioco della verità, è spiazzante quanto inquietante: la verità, quale che essa sia, in quanto tale dovrebbe essere una certezza indiscutibile. Come si può pensare di giocare con la verità?
"Il concetto di gioco nel nostro spettacolo è molto presente, senza mai raggiungere la pretesa che quanto realizzato corrisponda ad un dogma assoluto: a ragion di questo partiamo dal fatto che il primo scherzo che ci fa Vinterberg è farci pensare che Festen sia la storia di una resa dei conti famigliare, finale di partita in cui un figlio si fa coraggio per rinfacciare al padre tutta una serie di accuse legate al doloroso passato. In realtà quello di cui sono in assoluto convinto è la natura politica del testo che ci permette di raccontare la storia di una comunità di essere umani che di fronte al pericolo di una verità capace di alterare i loro equilibri, e lo status quo in cui sono abituati a galleggiare, scelgono di voltare lo sguardo da un’altra parte, preferendo che il rito dell’esistenza continui inalterato, come se nulla fosse accaduto: ad esser ricercata non è solo la giustizia, ma che il rito grottesco di un compleanno-commedia venga interrotto per consentire di aprire gli occhi sulla fragilità della realtà. Ogni personaggio esiste perché esistiamo noi, perché siamo noi che permettiamo loro di esistere: in Festen tutti tradiscono tutti in quanto la sopportazione della menzogna è più facile da attuare, e forse più comoda da accettare, che non la ricerca della verità".
Il compleanno del genitore è punto di partenza per l’excursus su dinamiche relazionali che interessano verità, potere, autorità, su di un crinale in bilico tra commedia e tragedia: lo spettatore si troverà di fronte ad un confine ben definito o ad una possibile commistione di generi?
"Festen è talmente scioccante come gioco linguistico che si passa dalla commedia alla tragedia senza soluzione di continuità: al pubblico, per una sera, viene chiesto di abbandonare il suo ruolo di spettatore passivo diventando parte integrante di un conflitto che interessa tanto l’ambito semantico quanto quello musicale e visuale. È un gioco linguistico che chiede di abbandonarci totalmente per partecipare in prima persona, muovendoci di continuo tra i generi e chiedendoci se, con tutto quello che succede in scena, sia possibile andare avanti con la festa".
Girando un ininterrotto piano sequenza che gli spettatori vedranno proiettato per tutto lo spettacolo, gli attori diventano se possibile ancor di più il tramite tra finzione e realtà: in un progetto stratificato come Festen, quale è il vero ruolo dell’interprete?
"L’attore è l’elemento principale di Festen, racconto che non si può portare in scena senza che gli interpreti siano straordinariamente onesti e trasparenti nella loro tecnica e capacità interpretativa: dopo un intenso e lungo periodo di lavoro sono sicuro che tutti saprebbero recitare nella più estrema nudità, anche in una piazza a cielo aperto, senza gli orpelli di forma che pur sono necessari in un allestimento. La loro missione è stata ed è quella di conquistare la radicale chiarezza di pensiero e di emozioni da trasportare in scena: in quest’ottica il persistente utilizzo di una camera si indirizza verso la ricerca di un codice interpretativo che conduca attori ed attrici alla scoperta di nuove possibili forme di reciproca e continua interazione".
Il debutto a Torino con una settimana di repliche e poi, prospettiva forse inimmaginabile fino a qualche settimana addietro, si riprende a girare per tutto il mese di giugno: quali le attese e le aspettative per questa fase, teatralmente parlando forse più un nuovo inizio che un ritorno a come eravamo?
"Di aspettative dall’Alto con la A maiuscola meglio non farsene, né averne: se invece spostiamo il discorso sulla sfera personale, penso di non aver affatto bisogno di un teatro che non serva a niente, semmai di un teatro che di continuo mi permetta di porre la domanda se siamo sicuri che stia andando tutto bene. Mi piace sempre ricordare come Sherlock Holmes, in assoluto uno dei miei miti, era solito sostenere come nella vita siano difficili più le domande che le risposte. Dobbiamo lavorare tutti per recuperare il senso vero ed originario del teatro, che è sempre stato rito e strumento nel rielaborare crisi e squilibri".
In prima assoluta, in collaborazione con Il Mulino di Amleto, da Fondazione TPE–Teatro Piemonte Europa, Elsinor Centro di Produzione Teatrale, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e Solares Fondazione delle Arti, Festen. Il gioco della verità di Thomas Vinterberg è diretto da Marco Lorenzi, suo anche l’adattamento con Lorenzo De Iacovo: in scena Danilo Nigrelli, Irene Ivaldi, Roberta Calia, Yuri D’Agostino, Elio D’Alessandro, Roberta Lanave, Barbara Mazzi, Raffaele Musella e Angelo Tronca con repliche al Teatro Astra dal lunedì al sabato alle 19.30, domenica alle 18. Biglietti a Euro 25 ed Euro 17 con info al 011.56.34.352 o su www.fondazionetpe.it.
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