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Il tragico gioco della verità di FESTEN
a cura di Roberto Canavesi
Visto al Teatro Astra di Torino martedì 1 giugno 2021
DI THOMAS VINTERBERG, MOGENS RUKOV & BO HR. HANSEN; ADATTAMENTO PER IL TEATRO DI DAVID ELDRIDGE; PRIMA PRODUZIONE MARLA RUBIN PRODUCTIONS LTD, A LONDRA PER GENTILE CONCESSIONE DI NORDISKA APS, COPENHAGEN 

VERSIONE ITALIANA E ADATTAMENTO DI LORENZO DE IACOVO E MARCO LORENZI 

CON DANILO NIGRELLI, IRENE IVALDI E (IN ORDINE ALFABETICO) ROBERTA CALIA,YURI D’AGOSTINO, ELIO D’ALESSANDRO, ROBERTA LANAVE, BARBARA MAZZI, RAFFAELE MUSELLA, ANGELO TRONCA 

REGIA MARCO LORENZI; ASSISTENTE ALLA REGIA NOEMI GRASSO; DRAMATURG ANNE HIRTH; VISUAL CONCEPT E VIDEO ELEONORA DIANA; COSTUMI ALESSIO ROSATI; SOUND DESIGNER GIORGIO TEDESCO; LUCI LINK-BOY (ELEONORA DIANA & GIORGIO TEDESCO); CONSULENTE MUSICALE E VOCAL COACH BRUNO DE FRANCESCHI 

PRODUZIONE TPE – TEATRO PIEMONTE EUROPA, ELSINOR CENTRO DI PRODUZIONE TEATRALE, TEATRO STABILE DEL FRIULI VENEZIA GIULIA, SOLARES FONDAZIONE DELLE ARTI IN COLLABORAZIONE CON IL MULINO DI AMLETO
Chissà cosa avrebbe pensato Franco Basaglia, padre della legge 180 che quarant’anni fa chiuse per sempre i manicomi, se fosse stato tra gli invitati al ricevimento che anima Festen. Il gioco della verità, spettacolo in scena in prima assoluta al Teatro Astra di Torino basato sulla sceneggiatura dell’omonimo film del danese Thomas Vinterberg: forse il professor Basaglia, che ai fantasmi della mente ha dedicato una vita intera, avrebbe trovato non poca materia interessante per i suoi studi, se è vero che il ricevimento per i sessant’anni del padre-marito Helge Klingenfeldt diventa pretesto per una resa dei conti finale di verità a tutti note, ma per lungo tempo taciute, in difesa dello status quo da preservare a tutti i costi, volgendo di continuo lo sguardo come se nulla fosse accaduto.

Alla festa, pensata in grande con tanto di gran cerimoniere ad organizzare tutto, partecipa una famiglia, o forse quel che non è mai stata una famiglia: a partire dai borghesissimi genitori, con tanto di nonno un po’ arterio al seguito, per arrivare ai tre figli, eredi se possibile mai cosi diversi, ciascuno depositario di un passato e di un presente ricco di ombre. C’è Michael, il più giovane, isterico rampollo, con al seguito la compagna incinta, che dopo una gioventù passata in collegio si è ora lanciato in avventure imprenditoriali dai discutibili esiti: c’è Helene, l’anticonformista della famiglia secondo sua madre, in perenne attesa di una fidanzata che non arriverà mai, per arrivare a Christian, il figlio maggiore dall’aria inquieta sbarcato da Parigi per la resa dei conti con l‘intera famiglia. Da ultima, presenza in assenza, ecco materializzarsi lo spettro di Linda, la gemella di Christian, morta suicida nella vasca da bagno e di cui da poco si è celebrato il funerale.

Tra un brindisi e l’altro, una danza collettiva o un’uscita dell’allegro nonno, verità e finzione vanno a braccetto: e se la verità fa capolino nelle sferzate del primogenito che rivolge al padre, o alla madre complice, terribili accuse di abusi perpetrati a lui ed a Linda quando erano bambini, la finzione risiede nella volontà di ignorare questi macigni proseguendo nell’assurda recita cui gran parte dei presenti per decenni si sono prestati. In un crescendo di collettiva rabbia, di scontri tra fratelli e tra figli e genitori, solo il ritrovamento di una lettera autografa di Linda, la parola dei morti, potrà affermare la verità smontando quel castello di ipocrisie e bugie su cui per anni i Klingenfeldt hanno fondato la loro vita.

Fin qui la sintesi di una commedia, prossima alla tragedia, dove sono facilmente rintracciabili echi della tragedia classica come dei personaggi scespiriani, del teatro ibseniano al pari del cinema di Ingmar Bergmam: e proprio rivolgendosi al cinema il regista Marco Lorenzi fa letteralmente centro, immaginando un allestimento costruito su di una doppia visuale dove, in primo piano, campeggia l’enorme velario su cui sono proiettate le scene agite, dietro di esso, dai bravissimi attori impegnati nel tragico gioco della verità. Teatro e cinema si mescolano in un adrenalinico cocktail di azioni che regalano momenti di crescente tensione, come sprazzi di buffa leggerezza, fino a quando la caduta del velario non costringe i personaggi a spogliarsi delle loro falsità, ad abbandonare le maschere per tanto tempo indossate accettando l‘impietoso confronto con la verità.
Lettura tanto coraggiosa quanto visionaria che Marco Lorenzi può realizzare facendo leva su di un gruppo di ottimi interpreti, dai genitori di Danilo Nigrelli ed Irene Ivaldi, ai tre figli che vedono Elio D’Alessandro, Barbara Mazzi e Raffaele Musella tratteggiare con forza, senza mai scadere negli eccessi, un amletico Christian e non meno tormentati Helene e Michael: insieme a loro Roberta Calia, Yuri D’Agostino, Roberta Lanave ed Angelo Tronca concorrono all’esito finale di quello che il pubblico saluta come un vero e proprio successo al termine di due ore filate che volano via con estrema leggerezza.

E cosi quello che era iniziato con Hansel e Gretel dei Fratelli Grimm alla fine termina come fosca tragedia di ambito famigliare, racconto noir che, se da un lato scava nei meandri delle dinamiche più intime rivelando a tutti lo scomodo prezzo di una verità finalmente non filtrata, dall’altro lascia l’inquietante consapevolezza del dettaglio basagliano, di quel "da vicino nessuno è normale" che accompagna lo spettatore all’uscita del teatro non senza inquietudine e amarezza.
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